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Domenica, 28 Aprile 2024
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Mostra "Sub Tutela Dei" in onore del giudice Rosario Livatino: l'unione della fede con la giustizia

Il "giudice ragazzino" c'ha lasciato in eredità poche parole che graffiano la coscienza e pesano come macigni: "Quando moriremo, nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma credibili"

Domani, Lunedì 6 novembre, presso il Carcere Borbonico, aprirà la mostra "Sub Tutela Dei" dedicata a Rosario Livatino, noto come il "giudice ragazzino". Questa mostra è un omaggio al magistrato siciliano ucciso dalla mafia e successivamente dichiarato beato come martire della giustizia e della fede. Dopo l’esposizione al “Meeting” di Rimini, il successo riscosso dalla mostra si è ripetuto nelle città e nei Tribunali di tutta Italia e così, per iniziativa della Libera Associazione Forense e del Centro di Solidarietà “Giovanni e Massimo”, in collaborazione con l’Ordine degli Avvocati, l’evento sarà ospitato anche in Città, nel complesso museale del Carcere Borbonico.

«Ci ha spinti», affermano gli organizzatori, «il desiderio di far incontrare a tutti l’umanità di Rosario Livatino, e attraverso questo incontro di vivere quanto  accaduto ovunque ed a tante persone, compresi i suoi carnefici, cioè l’esperienza di un cambiamento di sè, di una maggiore profondità di sguardo e di coscienza e di un maggior coraggio nell’affermare la verità, nell’affrontare i problemi e le sfide alle quali siamo chiamati. Esattamente ciò che, in verità, sentiamo più urgente, proprio in questo tragico tempo della storia.»

La mostra è visitabile negli orari dalle 9 alle 13,30 e dalle 16 alle 19. Il 9 novembre alle 16,00 nella stessa sede, si svolgerà il convegno dal titolo: “Il compito quasi sovrumano del giudicare” – L’eredità di Rosario Livatino. Interverranno il dott. Domenico Airoma, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Avellino e l’On.le Chiara Colosimo, Presidente della Commissione Parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia. Sabato 11 novembre alla 18,00 il Duomo di Avellino ospiterà la reliquia del Beato (la camicia indossata il giorno dell’omicidio) e sarà celebrata la S. Messa dal Vescovo di Avellino, Mons. Arturo Aiello.

"STD"

STD: Tre lettere enigmatiche, che a lungo hanno intrigato gli investigatori impegnati nel caso dell'omicidio del giudice Rosario Livatino. Queste tre lettere erano una costante presenza, apparse frequentemente alla fine dei suoi scritti e degli appunti personali. STD, Sub Tutela Dei, "Nelle mani di Dio" - una supplica a Dio per guidare i suoi passi, scelte e decisioni, in definitiva, la sua intera vita.La vita di Livatino iniziò il 3 ottobre 1952 a Canicattì, in provincia di Agrigento. Suo padre Vincenzo era un impiegato comunale e Rosario fu il frutto dell'amore tra Vincenzo e Rosalia Corbo. Crescendo in una famiglia tranquilla, Rosario fu ben educato, rispettoso, diligente nello studio e nei suoi doveri.Si diplomò al Liceo Classico Ugo Foscolo di Canicattì e si unì all'Azione Cattolica, prima di iscriversi nel 1971 alla facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Palermo. Già durante l'adolescenza e la giovinezza, il binomio tra fede e diritto cominciò a definire la sua esistenza, diventando uno dei tratti distintivi del suo sviluppo come individuo, cristiano, intellettuale e professionista. Nel 1975, a soli ventitré anni, ottenne la laurea cum laude e successivamente vinse un concorso pubblico, diventando vicedirettore presso l'Ufficio del Registro tra il 1977 e il 1979.

"Quando moriremo, nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma credibili"

Mentre perseguiva la sua carriera nel campo del diritto, partecipò anche al concorso per diventare magistrato, emergendo tra i primi nella graduatoria, nonostante la sua giovane età. Nel 1978, divenne magistrato e fu assegnato al Tribunale di Caltanissetta, per poi essere trasferito a quello di Agrigento nel 1979. A Agrigento, svolse il ruolo di sostituto procuratore fino al 1989, prima di essere nominato giudice a latere.Durante questi anni, Livatino si confrontò con indagini complesse e delicate sulle attività della mafia, esaminando le intricatissime relazioni tra mafia, imprenditoria e politica. Partecipò a indagini come quelle sui finanziamenti regionali alle cooperative giovanili di Porto Empedocle, sui casi di fatturazioni false e gonfiate per opere mai realizzate e su episodi di corruzione. Inoltre, applicò per uno dei primi in Italia la confisca dei beni ai mafiosi.

Uno dei suoi successi più significativi fu il maxiprocesso contro le cosche di Stidda di Agrigento, Canicattì, Campobello di Licata, Porto Empedocle, Siculiana e Ribera, iniziato nel 1987. Questo processo richiese l'utilizzo di una palestra trasformata in aula bunker. Alla fine, furono emesse 40 condanne, rappresentando un duro colpo per la mafia agrigentina, che cercava di contrastare Cosa Nostra e i Corleonesi che cercavano di estendere il loro dominio nelle regioni centro-meridionali della Sicilia. Rosario Livatino coniugava la sua carriera con una condotta riservata, basata su valori etici profondi e una fede cristiana radicata. La sua etica professionale si rifletteva nelle sue scelte e decisioni, all'interno e al di fuori dell'ufficio, nei suoi rapporti sociali e amicizie, dimostrando la sua integrità e credibilità.

Il 21 settembre 1990, tra Canicattì e Agrigento, Livatino fu tragicamente assassinato in un agguato mentre si dirigeva al lavoro. La sua morte scosse la comunità giuridica e provocò una serie di polemiche riguardo alle condizioni di lavoro dei magistrati in Sicilia. La verità sulla sua morte emerse attraverso tre processi giudiziari. Il primo processo portò all'arresto degli esecutori materiali dell'omicidio, mentre il secondo processo coinvolse altri membri del gruppo di fuoco. Infine, nel terzo processo, furono individuati i mandanti dell'omicidio. I colpevoli furono condannati, portando giustizia per la morte di Livatino. Giovanni Paolo II lo definì un "martire della giustizia e indirettamente della fede" nel 1993, avviando il processo di beatificazione. Nel 2021, Papa Francesco autorizzò la sua beatificazione, rendendo Rosario Livatino il primo magistrato beato nella storia della Chiesa.

Oggi, la memoria di Rosario Livatino vive attraverso le case di accoglienza, e persino un olio prodotto in suo onore a Rosarno. La sua storia è stata raccontata in libri e documentari, testimonianza del suo coraggio e impegno nella lotta alla mafia. Il "giudice ragazzino", uomo di fede e di giustizia, ci lascia in eredità poche parole che graffiano la coscienza e pesano come macigni: "Quando moriremo, nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma credibili"

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