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Cultura Atripalda

San Sabino e la storia del miracolo della Santa Manna

Durante la ricognizione delle ossa del Santo, aperto il sarcofago, fu ritrovato l’intero corpo, ricoperto da un liquido: questo fu applicato al piede di uno storpio, Sabino Farese, che guarì immediatamente

Ritorna il momento religioso tra i piú sentiti dalla comunità atripaldese, vale a dire la distribuzione della “Santa Manna” di San Sabino. L’acqua benedetta che si ritiene trasudasse dalla tomba del santo patrono di Atripalda – amato dal popolo e spirato circa 1.500 anni fa – verrà aspersa (spruzzata) in segno di benedizione e nel rispetto delle restrizioni al termine delle sante messe.

La tradizione e la storia della Santa Manna 

 San Sabino fu vescovo di ‘Abellinum’ antica città romana. Fu vescovo tra il V e il VI secolo ed ebbe come diacono e amministratore il giovane Romolo, il quale essendogli molto legato, lo assisté quando morì il 9 febbraio di un anno imprecisato, ma senz’altro dell’inizio del VI secolo.

Sabino fu sepolto nello ‘Specus martyrum’, uno dei più insigni monumenti di archeologia cristiana dell’Irpinia, esistente ad ‘Abellinum’ e ora ipogeo della chiesa di S. Ipolisto ad Atripalda.

In quel periodo (inizio del secolo VI), mentre gli Ostrogoti invadevano tutta l’Italia, Sabino attendeva alla cura delle anime, divenendo aiuto e sostegno dei cittadini, amministrando integerrimo la giustizia e sollevando con la carità i cristiani, verso la visione del Regno di Dio.

Alla sua morte, nel 520 d.C., i fedeli decidono di dargli sepoltura nello Specus Martyrum. Romolo fra i suoi incarichi di diacono, aveva anche quello di attento custode dello ‘Specus’, anche se dopo poco tempo morì, si dice per il dolore della perdita della sua guida spirituale e venne sepolto in una tomba a fianco a quella di s. Sabino.

Il 1° maggio del 1588 si decise per la solenne ricognizione del corpo del Santo Patrono nel coro della chiesa di Sant'Ippolisto, eseguita da Marcantonio De Canditiis di Nola, vicario generale del vescovo di Avellino.

Si racconta, che in quell'occasione, una volta aperto il sarcofago vi si trovò l'intero corpo ricoperto da circa quattro dita di acqua limpida e pura che fu riposta nei Sacrari. Alcune gocce di questo liquido vennero applicate al piede di uno storpio, chiamato Sabino Farese, che divenne improvvisamente sano. Da quel momento in poi, la linfa del Santo Patrono, fu chiamata, "la Santa Manna"; essa nel corso degli anni trasudando dal corpo del Santo è stata religiosamente raccolta ed etichettata fino al 1943, anno in cui il fenomeno si è interrotto definitivamente.

Oggi, la tradizione e il culto legato alla figura del vescovo San Sabino vogliono che in occasione dell'anniversario della morte, il 9 febbraio, al termine della messa pomeridiana, tre, quattro o cinque sacerdoti traccino sulla fronte dei fedeli che sfilano avanti a loro un segno di croce con una piuma imbevuta del liquido chiamato "Santa Manna" mescolato con acqua benedetta; altri, invece, chiedono di bagnare di Manna un fazzoletto di stoffa o di carta o un batuffolo di cotone idrofilo per portarlo a casa della persona cara come segno e come pegno della protezione del Santo.

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