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Sabato, 27 Aprile 2024
Cronaca

Vaccini, gli effetti al lungo termine: cosa dicono i primi dati

I dati diffusi da Israele e Regno Unito, tra i Paesi più virtuosi in termini di somministrazioni, evidenziano come l'efficacia in effetti cali via via che i mesi passano, ma con distinzioni e differenze fondamentali

Con il passare del tempo i vaccini contro il coronavirus perdono efficacia nel prevenire il contagio, ma sembrano mantenerla nel prevenirne le forme più gravi e il ricovero in ospedale. È questo, in estrema sintesi, lo scenario che emerge a 8 mesi dall’inizio della campagna di vaccinazione contro la covid-19, tratteggiato osservando i dati che arrivano dai due Paesi in cui le vaccinazioni sono state più precoci e massicce: Israele e Gran Bretagna.

In entrambi i Paesi si sta infatti registrando un nuovo aumento dei contagi che hanno sollevato dubbi sull’efficacia del vaccino, in un periodo in cui i governi spingono affinché vi si sottopongano fasce sempre più ampie di popolazione in vista dell’autunno e del ritorno a scuola. Le differenze ci sono, ovviamente, anche perché il Regno Unito ha usato molto AstraZeneca, ma la conclusione a oggi sembra la stessa: il vaccino perde sì efficacia nell’impedire il contagio, ma le conseguenze sono nettamente meno gravi rispetto a chi non si vaccina.

I dati di Israele

Israele è stato il primo Paese a partire con le vaccinazioni, e anche il primo a decidere di procedere la terza dose proprio alla luce dell’aumento di contagi: i dati diffusi dal governo hanno dimostrato un calo della protezione a distanza di mesi dall’inizio della somministrazione di Pfizer, l’unico vaccino utilizzato.

A fine luglio l’efficacia complessiva nel prevenire il contagio da covid-19 era del 39 %, quella contro l’infezione con sintomi del 40,5 % e quella contro l’ospedalizzazione e le forme gravi tra l’88 e il 91 %. Numeri che, quando si parla di protezione dall’infezione in sé, variano a seconda del mese di vaccinazione, calando al 15% per chi si è vaccinato a gennaio e salendo al 75% per cento per chi aveva ricevuto la seconda dose ad aprile.

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L'efficacia del vaccino a seconda del periodo in cui è stato somministrato - fonte Governo Israeliano

Un grafico in particolare ha poi messo a confronto i dati delle infezioni post-vaccino, evidenziando come i contagi tra fine giugno e inizio luglio fossero maggiori tra chi si era vaccinato (con doppia dose) tra gennaio e febbraio. In generale però, prendendo in considerazione i casi di infezione grave, l’efficacia del vaccino si è dimostrata alta (tra l’84 e il 94%) in tutti i vaccinati a prescindere dal periodo di somministrazione.

Efficacia vaccini, i dati del Regno Unito

Il Regno Unito negli ultimi giorni sta affrontando una recrudescenza di contagi. Al 22 agosto erano 31.976 al giorno, con una media di 32.210 ogni sette giorni, con un picco a metà luglio dopo una primavera di curva quasi piatta. Lo scorso 16 agosto un gruppo di ricercatori dell’Università di Oxford ha pubblicato uno studio incentrato proprio sull’efficacia del vaccino, che conferma il calo nel tempo: due settimane dopo la seconda dose il vaccino di Pfizer fornisce una protezione contro l’infezione intorno al 90%, mentre AstraZeneca resta di poco inferiore al 75&.

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Nelle tabelle, la probabilità dei vaccinati di risultare positivi al coronavirus rispetto ai non vaccinati a 14 giorni dalla seconda dose - Fonte University of Oxford

Dopo tre mesi dalla seconda dose invece le percentuali si avvicinato, perché l’efficacia di Pfizer cala più velocemente di quella di AstraZeneca. Secondo i ricercatori, AstraZeneca potrebbe addirittura essere più efficace di Pfizer dopo 4 mesi, a prescindere dalle tempistiche del richiamo (il Regno Unito ha scelto di somministrare la seconda dose di AstraZeneca dopo 12 settimane).

I dati hanno mostrato inoltre che gli ex positivi al coronavirus vaccinati con due dosi hanno una protezione maggiore degli altri, e che la protezione diminuisce meno velocemente, anche se Pfizer sembra perderla ancora una volta più in fretta rispetto ad AstraZeneca. Anche il Regno Unito ha annunciato l’intenzione di partire a settembre con la terza dose, principalmente per cercare di proteggere i cittadini dalla più contagiosa e temuta variante Delta.

Cosa succede in Italia

In Italia si conferma il trend già evidenziato in Israele e Regno Unito: il vaccino aiuta a prevenire le forme più gravi di infezione, e il report dell’Iss dello scorso 18 agosto evidenziava come l’efficacia complessiva della vaccinazione incompleta (una sola dose) nel prevenire l’infezione è pari al 65,1%, mentre quella della vaccinazione completa è pari all’82,5%. Nel gruppo dei vaccinati con ciclo completo il rischio di contrarre l’infezione si riduce dunque dell’83% rispetto a quello tra i non vaccinati. L’efficacia nel prevenire l’ospedalizzazione sale all’84,2% per la vaccinazione con ciclo incompleto e al 94,9% per quella con ciclo completo. L’efficacia nel prevenire i ricoveri in terapia intensiva è pari all’90,8% per la vaccinazione con ciclo incompleto e pari al 97,0% per quella con ciclo completo, e l’efficacia nel prevenire il decesso è pari all’84 % per la vaccinazione con ciclo incompleto e pari al 97,2% per la vaccinazione con ciclo completo.

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L'efficacia vaccinale divisa per fasce d'età per diagnosi, ricoveri in ospedale, terapie intensive e decessi - Fonte Iss

L’Iss ha parlato anche dell’aumento di contagi nella fascia d’età 12-39, puntando però l’attenzione su “alcuni aspetti comportamentali che potrebbero spiegare la minore efficacia vaccinale stimata, soprattutto in relazione al rischio di diagnosi. È noto, infatti, come nella popolazione complessiva, viste anche le difficoltà del contact tracing, una quota di infezioni asintomatiche o con sintomi lievi non siano diagnosticate, e questo è verosimile si verifichi più frequentemente nella popolazione giovane, generalmente colpita dal virus in forma più lieve rispetto alla popolazione adulta.

Tra i giovani non vaccinati, lo stigma e la paura di eventuali restrizioni alla loro vita sociale conseguenti un’eventuale diagnosi potrebbero ridurre l’utilizzo dei servizi diagnostici e quindi portare a una sottostima del rischio in questo gruppo e, di conseguenza, a una sottostima dell’efficacia vaccinale”, spiega l’Istituto Superiore di Sanità. L’aumento dei contagi  in questa fascia di età nelle settimane di agosto è inoltre imputata anche alla variante Delta, ormai predominante in Italia.

Il nodo terza dose

In generale dunque pare dimostrato che il vaccino perde di efficacia nel prevenire l’infezione con il passare del tempo, ma continui comunque a proteggere da forme più gravi di covid-19 prevenendo in moltissimi casi il ricovero in ospedale. Si apre dunque il dibattito sulla terza dose, che in Israele come detto ha già iniziato a essere somministrata. Negli Stati Uniti, in Germania, in Francia e in Gran Bretagna si dovrebbe partire a settembre, mentre l’Italia non ha ancora assunto una posizione netta.

Sia l’Organizzazione Mondiale della Sanità sia l’Ema si sono dette contrarie a una terza dose perché a oggi non vi sarebbero risultanze scientifiche che ne dimostrerebbero la rilevanza. Il sottosegretario alla Salute, Pierpaolo Sileri, ha confermato che probabilmente le terze dosi inizieranno a ottobre, mentre il coordinatore del Comitato tecnico scientifico (Cts) Franco Locatelli ha aggiunto che “sarà sicuramente necessaria al più presto”, ma si procederà con tutta probabilità prima con le fasce maggiormente a rischio: over 80 e immunodepressi.

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