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Lunedì, 29 Aprile 2024
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Inaugurata la mostra "Sub Tutela Dei" in onore del giudice Rosario Livatino: "La fede nella giustizia il suo lascito per i giovani"

Questa mostra è un omaggio al magistrato siciliano ucciso dalla mafia e successivamente dichiarato beato come martire della giustizia e della fede

Oggi, presso il Carcere Borbonico, ha preso il via la mostra "Sub Tutela Dei" dedicata a Rosario Livatino, noto come il "giudice ragazzino". Questa mostra è un omaggio al magistrato siciliano ucciso dalla mafia e successivamente dichiarato beato come martire della giustizia e della fede. Dopo l’esposizione al “Meeting” di Rimini, il successo riscosso dalla mostra si è ripetuto nelle città e nei Tribunali di tutta Italia e così, per iniziativa della Libera Associazione Forense e del Centro di Solidarietà “Giovanni e Massimo”, in collaborazione con l’Ordine degli Avvocati, l’evento sarà ospitato anche in Città, nel complesso museale del Carcere Borbonico.

«Ci ha spinti», affermano gli organizzatori, «il desiderio di far incontrare a tutti l’umanità di Rosario Livatino, e attraverso questo incontro di vivere quanto  accaduto ovunque ed a tante persone, compresi i suoi carnefici, cioè l’esperienza di un cambiamento di sè, di una maggiore profondità di sguardo e di coscienza e di un maggior coraggio nell’affermare la verità, nell’affrontare i problemi e le sfide alle quali siamo chiamati. Esattamente ciò che, in verità, sentiamo più urgente, proprio in questo tragico tempo della storia.»

La mostra è visitabile negli orari dalle 9 alle 13,30 e dalle 16 alle 19. Oggi, invece, si è svolto il convegno dal titolo: “Il compito quasi sovrumano del giudicare” – L’eredità di Rosario Livatino.  Sabato 11 novembre alla 18,00 il Duomo di Avellino ospiterà la reliquia del Beato (la camicia indossata il giorno dell’omicidio) e sarà celebrata la S. Messa dal Vescovo di Avellino, Mons. Arturo Aiello.

Inaugurata la mostra "Sub Tutela Dei" in onore del giudice Rosario Livatino

Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Avellino, il dott. Domenico Airoma, ha dichiarato: "Questa, in realtà, non vuole essere una mostra rivolta al passato. Conosco molto bene i curatori, e molti dei testi sono tratti dal libro a cui ho contribuito anche personalmente. L'intento non è quello di fare di Livatino un santino, ma di evocare qualcosa del passato. L'intento è esattamente l'inverso, cioè riportare nel presente questa figura, perché Livatino parla a noi e non soltanto ai magistrati."

Il Procuratore ha sottolineato che la mostra mira a offrire una lezione di vita, soprattutto attraverso l'esempio che Livatino ha rappresentato con il suo stile di vita e il suo impegno. "Certo, dobbiamo trarre una lezione di vita, soprattutto da quello che lui è stato, più che da quello che ha detto, perché lui ha detto poco e ha scritto poco. Lui ha parlato attraverso i suoi procedimenti e soprattutto attraverso il suo stile di vita, quindi questo è certamente una lezione per i magistrati, ma non soltanto per loro."

Livatino è stato un uomo di fede e un uomo delle istituzioni, e Airoma ritiene che la sua vita sia un esempio per tutti coloro che occupano posti di responsabilità istituzionale. "Livatino è stato un uomo del Sud, posso dirlo? Ogni tanto va anche rivendicata una certa origine. Un piccolo giudice, come qualcuno lo ha definito, non ragazzini, qualcuno, perché noi definiamo un'intera categoria, ma qualcuno ha definito un piccolo giudice di una cittadina sconosciuta del Sud."

Il Procuratore ha evidenziato l'importanza di raccontare storie come quella di Livatino ai giovani, contrastando così la tendenza a propinare storie negative. "Credo che questo sia bello per i giovani, è bello ascoltare una bella storia di una persona che si è sacrificata per i suoi ideali e per il suo senso di giustizia. Non si è svenduto, l'ha saputo coltivare fino alla fine, fino all'estremo sacrificio."

Tuttavia, Airoma ha sottolineato che l'obiettivo non è quello di incitare tutti a diventare martiri, ma piuttosto di ispirare il "martirio bianco," ovvero la capacità di fare il proprio dovere quotidianamente. "C'è anche un martirio bianco, c'è la capacità di fare il proprio dovere tutti i giorni."

Infine, il Procuratore ha chiarito che non bisogna presentare Livatino come una figura confessionale o un giudice cristiano, ma piuttosto come qualcuno che ha tratto ispirazione dalla sua spiritualità per perseguire la giustizia. "Lui traeva dalla sua spiritualità certamente un grande impulso, per lui rendere giustizia era una vocazione, ma questo non significa che non dovremmo avere una dimensione spirituale, dove sta scritto che non dovremmo avere una dimensione spirituale?". 

"STD"

STD: Tre lettere enigmatiche, che a lungo hanno intrigato gli investigatori impegnati nel caso dell'omicidio del giudice Rosario Livatino. Queste tre lettere erano una costante presenza, apparse frequentemente alla fine dei suoi scritti e degli appunti personali. STD, Sub Tutela Dei, "Nelle mani di Dio" - una supplica a Dio per guidare i suoi passi, scelte e decisioni, in definitiva, la sua intera vita.La vita di Livatino iniziò il 3 ottobre 1952 a Canicattì, in provincia di Agrigento. Suo padre Vincenzo era un impiegato comunale e Rosario fu il frutto dell'amore tra Vincenzo e Rosalia Corbo. Crescendo in una famiglia tranquilla, Rosario fu ben educato, rispettoso, diligente nello studio e nei suoi doveri.Si diplomò al Liceo Classico Ugo Foscolo di Canicattì e si unì all'Azione Cattolica, prima di iscriversi nel 1971 alla facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Palermo. Già durante l'adolescenza e la giovinezza, il binomio tra fede e diritto cominciò a definire la sua esistenza, diventando uno dei tratti distintivi del suo sviluppo come individuo, cristiano, intellettuale e professionista. Nel 1975, a soli ventitré anni, ottenne la laurea cum laude e successivamente vinse un concorso pubblico, diventando vicedirettore presso l'Ufficio del Registro tra il 1977 e il 1979.

"Quando moriremo, nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma credibili"

Mentre perseguiva la sua carriera nel campo del diritto, partecipò anche al concorso per diventare magistrato, emergendo tra i primi nella graduatoria, nonostante la sua giovane età. Nel 1978, divenne magistrato e fu assegnato al Tribunale di Caltanissetta, per poi essere trasferito a quello di Agrigento nel 1979. A Agrigento, svolse il ruolo di sostituto procuratore fino al 1989, prima di essere nominato giudice a latere.Durante questi anni, Livatino si confrontò con indagini complesse e delicate sulle attività della mafia, esaminando le intricatissime relazioni tra mafia, imprenditoria e politica. Partecipò a indagini come quelle sui finanziamenti regionali alle cooperative giovanili di Porto Empedocle, sui casi di fatturazioni false e gonfiate per opere mai realizzate e su episodi di corruzione. Inoltre, applicò per uno dei primi in Italia la confisca dei beni ai mafiosi.

Uno dei suoi successi più significativi fu il maxiprocesso contro le cosche di Stidda di Agrigento, Canicattì, Campobello di Licata, Porto Empedocle, Siculiana e Ribera, iniziato nel 1987. Questo processo richiese l'utilizzo di una palestra trasformata in aula bunker. Alla fine, furono emesse 40 condanne, rappresentando un duro colpo per la mafia agrigentina, che cercava di contrastare Cosa Nostra e i Corleonesi che cercavano di estendere il loro dominio nelle regioni centro-meridionali della Sicilia. Rosario Livatino coniugava la sua carriera con una condotta riservata, basata su valori etici profondi e una fede cristiana radicata. La sua etica professionale si rifletteva nelle sue scelte e decisioni, all'interno e al di fuori dell'ufficio, nei suoi rapporti sociali e amicizie, dimostrando la sua integrità e credibilità.

Il 21 settembre 1990, tra Canicattì e Agrigento, Livatino fu tragicamente assassinato in un agguato mentre si dirigeva al lavoro. La sua morte scosse la comunità giuridica e provocò una serie di polemiche riguardo alle condizioni di lavoro dei magistrati in Sicilia. La verità sulla sua morte emerse attraverso tre processi giudiziari. Il primo processo portò all'arresto degli esecutori materiali dell'omicidio, mentre il secondo processo coinvolse altri membri del gruppo di fuoco. Infine, nel terzo processo, furono individuati i mandanti dell'omicidio. I colpevoli furono condannati, portando giustizia per la morte di Livatino. Giovanni Paolo II lo definì un "martire della giustizia e indirettamente della fede" nel 1993, avviando il processo di beatificazione. Nel 2021, Papa Francesco autorizzò la sua beatificazione, rendendo Rosario Livatino il primo magistrato beato nella storia della Chiesa.

Oggi, la memoria di Rosario Livatino vive attraverso le case di accoglienza, e persino un olio prodotto in suo onore a Rosarno. La sua storia è stata raccontata in libri e documentari, testimonianza del suo coraggio e impegno nella lotta alla mafia. Il "giudice ragazzino", uomo di fede e di giustizia, ci lascia in eredità poche parole che graffiano la coscienza e pesano come macigni: "Quando moriremo, nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma credibili".

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