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Cultura

Riti, leggende e falò: Irpinia in festa per Sant'Antonio

Il 17 gennaio è una data ricca di tradizioni e riti per le celebrazioni in onore di Sant'Antonio Abate

Il 17 gennaio è il giorno in cui la tradizione ricorda sant'Antonio abate, patrono dei contadini, degli allevatori e protettore degli animali, come testimoniano i principali elementi iconografici che lo identificano: il maiale, il bastone con il campanellino e il fuoco ai suoi piedi.

Sant'Antonio Abate, egiziano di nascita è morto nel deserto della Tebaide il 17 gennaio del 357, è considerato un Santo protettore degli animali domestici e spesso viene raffigurato con accanto un maialino che reca al collo una campanella e da un bastone a “T” che indica “TAU”, la 19° lettera dell’alfabeto greco. La sua storia e le sue vicende sono narrate da Sant’Atanasio, suo discepolo e sostenitore, il quale contribuì a far conoscere la figura del Santo in tutta la chiesa. 

La festa in suo onore, oltre a ricordare gli animali e la vita del Santo, scandisce anche il tempo tra le semine e i raccolti in agricoltura.

Secondo la tradizione e sulla base di antiche leggende, durante la notte di Sant’Antonio Abate agli animali è data la facoltà di parlare. In alcune zone d’Irpinia la sera del 17 gennaio si accendono dei falò che simboleggiano la volontà di abbandonare tutto ciò che appartiene ai mesi passati e di rinnovarsi a partire dal primo mese del nuovo anno. 

IL RITO DEL FALÒ 

Simbolicamente il falò ha lo scopo magico di riscaldare la terra e invogliare il ritorno della primavera, una visione chiaramente leggendaria che viene tramandata in molti comuni - Nusco, Cesinali, Quindici, Solofra, Lauro, Montemarano, Sant'Andrea di Conza, Sturno etc - dove il giorno della festa si benedicono gli animali e si preparano cataste di legna che si accendono poi al tramonto. Si trattava di un rito di purificazione della Madre Terra, così che essa tornasse prospera per la Primavera.

L’INIZIO DEL CARNEVALE

L’accensione dei fuochi in alcune località coincide anche con la prima uscita dell’anno delle maschere di Carnevale. A Montemarano in particolare è uno spettacolo, durante la festa di Sant’Antonio si balla a ritmo di Tarantella. Un detto popolare locale dice "Da Sant'Antonio maschere e suoni".

LE FESTE E I FALÒ IN IRPINIA 

Tra le feste più conosciute La Notte dei Falò a Nusco che quest'anno si terrà dal 19 al 21 gennaio. Sono in festa anche di comuni Solofra, Avella, Quindici solo per citarne alcuni.

A Montoro iniziano Le Notti delle Campanelle. Mentre ad Avella si rinnova il culto del falò con la festa del Majo. Tra le feste più famose, anche quella di Quindici che rinnova il sacro rito de “A focara”. I fedeli si preparano al grande spettacolo che segue la benedizione degli animali e il sacro corteo fino alla Chiesa dove sarà celebrata la Santa Messa.

A Cesinali appuntamento molto sentito dalla comunità che rinnova il rito del fuoco secondo il quale si ‘brucia’ l´inverno e si invoca la nascita di una nuova primavera e al contempo si benedicono gli animali.

Sant’Antonio Abate e la leggenda del fuoco. Ma perché si usa accendere i falò? 

L’usanza si riallaccia a una leggenda (riportata anche nella raccolta Fiabe Italiane di Italo Calvino) di Italo Calvino. 

Eccola:

Antonio si alzò all’alba, con l’intenzione di aiutare gli uomini che quel fine settimana erano venuti ad incontrarlo presso la grotta.

Nel mondo mancava il fuoco e gli uomini, intirizziti dal freddo, si erano rivolti a lui e lo avevano supplicato di procurarne almeno una scintilla per ciascuno o anche una fiammella sola (se proprio non riusciva a fare di meglio!), ché tanto ci avrebbero pensato loro a spartirselo.

Per prima cosa Antonio svegliò l’inseparabile maiale con il quale condivideva una vita di solitudine:

«Maialino, amico mio… lesto alzati, non restare qui a poltrire!

È già ora, il sole sorge. Prepariamoci a partire!»

L’animale, che dormiva come un ghiro nell’angolo meglio riparato della grotta, con un ronfo si girò dall’altra parte, cosicché Antonio fu costretto a scrollarlo.« Maialinooo, non mi senti? Sono già le cinque e venti!» gridò più forte. «Con l’aiuto del buon Dio, dobbiam correre all’Inferno: troveremo lì del fuoco da donare ai miei fratelli.

Ma ci pensi ai poverini? Hanno freddo, sono al buio… mangian crudo: non accendono i fornelli!»

La parola fornelli sortì un effetto immediato. Maialino – che insieme a un formidabile appetito aveva anche un desiderio, quello di diventare un cuoco di quel macello!

Così anche Antonio varcò la soglia dell’Inferno e, dopo che ebbe quietato il porcellino con un semplice tocco del bastone, finse di voler approfittare, almeno per un momento, di quel bel calduccio infernale.

«Prima di tornarcene a casa io e Maialino ci fermiamo a riscaldar le ossa.

Tu lo permetti, vero, diavolo Barbarossa?» domandò infatti al diavolo capo.

Con un’alzata di spalle Barbarossa acconsentì alla richiesta e tornò alle proprie faccende.

Allora Antonio si sedette sopra un sacco di cenere posto all’ingresso di un lungo corridoio di passaggio e, via via che un diavolo passava, pum!…giù una bastonata sul groppone a uno, giù una botta secca sulla zucca vuota all’altro. Per non parlare degli sgambetti, che col bastone riuscivano particolarmente bene!

La cosa andò avanti per un po’, finché un diavolo infuriato (a lui erano toccati tutti e tre i trattamenti: bastonata sul groppone, bastonata sulla zucca vuota e sgambetto) strappò il bastone delle mani del santo e lo gettò con la punta tra le fiamme di un falò.

Tanto bastò, perché il maialino, che fino a un attimo prima era rimasto accucciato ai piedi del santo, ricominciasse a correre di qua e di là, scombinando la legna accatastata, soffocando le torce accese, spuntando i forconi.

«Oh, si sta agitando ancora, lo devo calmare!» esclamò Antonio, con l’aria più serafica di questa terra. «Ma senza bastone come lo posso fermare?».

Ormai fuori di sé per la rabbia, Barbarossa recuperò il bastone dalle fiamme e lo riconsegnò al legittimo proprietario.

Dopodiché, non prima che Antonio avesse toccato nuovamente col bastone il suo maiale, ringhiò furibondo:

«Grrr, lo hai calmato finalmente

questo porcello impertinente!

Ah, per le corna di Belzebù,

non intendo ospitarvi un minuto di più!

«Pustola, Zampastorta…» tuonò quindi, in direzione di due piccoli diavoli, il cui aspetto corrispondeva alla perfezione al loro nome, «accompagnate costoro fuori da casa mia e assicuratevi che non ritrovino più la via!».

Con grande sollievo di tutti i diavoli (ad eccezione forse della diavolessa portinaia, che era rimasta a bocca asciutta), Antonio e il maialino interruppero così il loro soggiorno all’Inferno… non senza aver ottenuto ciò che il santo voleva, però. Infatti, all’insaputa di Barbarossa e dei suoi sottoposti, Antonio un po’ di fuoco riuscì a portarselo via. Dove? Dentro la punta del suo bastone! Insomma, il fuoco rubato era la scintilla appiccata al bastone quando uno dei diavoli aveva tentato di incendiarlo, che ora ardeva vivace seppure invisibile.

Grazie a quell’unica scintilla, sant’Antonio alimentò e propagò sulla terra il fuoco, dono prezioso e indispensabile per gli uomini.

Questa bellissima leggenda oggi rivive nei "falò di Sant'Antuono". 

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