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Lunedì, 29 Aprile 2024
Cronaca

Processo Clan Graziano, Felice torna a parlare della "Strage delle donne": "Non ero d'accordo con quel massacro"

Il processo vede imputati Fiore e Salvatore Graziano, Antonio Mazzocchi e Domenico Ludovico Rega. Quest’ultimi sono accusati, a vario titolo, di associazione a delinquere di stampo camorristico. Oggi ha parlato il pentito Felice Graziano: "Fiore e Salvatore erano presenti in tutte le attività del clan"

Processo Clan Graziano – nella giornata di oggi, presso il Tribunale di Avellino, dinanzi il collegio presieduto dal dottor Giampiero Scarlato, a latere Lorenzo Corona e Giulio Argenio, è stata celebrata una nuova udienza nel processo che vede imputati Fiore e Salvatore Graziano, Antonio Mazzocchi e Domenico Ludovico Rega. Quest’ultimi sono accusati, a vario titolo, di associazione a delinquere di stampo camorristico. 

L’udienza odierna ha riguardato la testimonianza di Graziano Felice, collaboratore di giustizia: “Ho scelto di collaborare con la giustizia dal 2008, volevo cambiare vita. Io facevo parte del clan della mia famiglia. Il clan Graziano non era strutturato come un clan classico, a comandare erano i più anziani, Arturo Graziano, padre di Fiore e Salvatore. Ho commesso omicidi, ho commesso estorsioni. La faida con il clan Cava è iniziata nel 1990. Fiore e Salvatore Graziano hanno partecipato alle attività del clan, a cominciare dalle estorsioni nella zona del Salernitano e nel Sannio. Abbiamo preso denaro dai cantieri. Nei primi anni del 2000, dopo che sono stati scarcerati, abbiamo agito soprattutto nelle zone alluvionate come Quindici e Sarno”. Felice Graziano fa riferimento alle indagini che consentirono di scoprire il tentativo di infiltrazioni della camorra nei lavori per la costruzione e messa in sicurezza anche a Sarno, Siano e Bracigliano e nel comune di Quindici nell'avellinese. I provvedimenti restrittivi furono emessi, tra gli altri, nei confronti di Arturo e Adriano Graziano, già detenuti per altri reati, tre imprenditori del napoletano e ad altre otto persone dell'agro nocerino sarnese. La ricostruzione delle «strategie d'impresa» La camorra era riuscita ad assicurarsi la gestione e le forniture del calcestruzzo, necessario per l'edificazione delle grandi opere nelle zone alluvionate del maggio del 1998. Approfittando della decapitazione da parte delle forze dell'ordine dei vertici del clan camorristico Serino, che deteneva il controllo del malaffare nella zona dell'agro nocerino-sarnese, il clan avellinese dei Graziano era riuscito a penetrare nella zona, gestendo di fatto la ricostruzione delle aree alluvionate sui due versanti del monte Saro, dal quale il 5 maggio del 1998 si staccarono migliaia di metri cubi di fango, che riversandosi a valle portarono lutti e distruzione.

“Non sono a conoscenza, invece, di partecipazioni di Antonio Mazzocchi al clan. So che il padre di Mazzocchi è stato ucciso dai Cava a causa di un diverbio familiare, ma sempre riconducibile alla faida che era in corso tra le nostre famiglie”.

Dopo, Felice Graziano, ha risposto alle domande dell’avvocato Raffaele Bizzarro. Nello specifico, il pentito ha raccontato alcuni momenti della sua attività criminale e sottolineando, ancora, che non è mai più tornato nel Vallo di Lauro. Successivamente, il collaboratore di giustizia è tornato a parlare della strage del 26 maggio 2002, quando tre donne della famiglia Cava furono uccise, e due ferite. A perdere la vita, la sorella del boss Biagio Cava, detto Biagino, Michelina Cava, la cognata Maria Scibelli, 53 anni, e la figlia Clarissa, di soli 16 anni. “Ritengo che quella strage fu un errore, lo dissi immediatamente che era stata una barbarie, non fummo diversi dai Cava”, ha dichiarato Felice Graziano.

La prossima udienza, adesso, è attesa per il 28 maggio 2024. 

La faida tra i Cava e i Graziano

Nell’agosto del 2019 i Carabinieri del Comando Provinciale di Avellino, nel Vallo di Lauro e nella provincia di Verona diedero esecuzione a cinque misure cautelari per estorsione aggravata dal metodo mafioso. Il procedimento ha riguardato i fratelli Fiore e Salvatore Graziano, 46 e 48 anni, ritenuti elementi di spicco del clan Graziano, Domenico Desiderio e Antonio Mazzocchi, imprenditori di onoranze funebri, e Domenico Ludovico Rega, altro esponente del clan Graziano.

Tutto è iniziato con la scarcerazione di Cava Jr.

Stando a quanto si apprende, tutto è partito con la scarcerazione di Salvatore Cava, figlio del boss Biagio, morto di tumore dopo una lunga detenzione in regime di 41 bis. Questo, di fatto, ha dato nuova linfa a una faida, quella con il clan Graziano, che va avanti da oltre quarant’anni. Il nucleo speciale dei Cacciatori del Gargano ha battuto ogni centimetro dei boschi tra Quindici e Lauro e, qui, è stato ritrovato un manichino di donna, con un nastrino azzurro in vita e due fori di proiettile (sparati con un fucile di precisione) all’altezza del cuore. 

I familiari di Cava erano l’obiettivo

Gli inquirenti della Dda di Napoli, in brevissimo tempo, hanno individuato, come obiettivi dell’agguato, Salvatore Cava e la moglie. Le accuse di estorsione aggravata dal metodo mafioso, nascono da una serie di attentati e minacce compiuti nel Vallo di Lauro, nello specifico, contro un’impresa di pompe funebri di Domicella.

I Graziano hanno preteso una tangente da 100mila euro; minacciando continuamente i dipendenti, fino ad arrivare a sparare contro il cancello della ditta. Modus operandi, questo, rivolto anche nei confronti di un’impresa edile incaricata di realizzare i lavori per un parcheggio che sarebbe dovuto nascere proprio nei pressi dell’impresa funebre di Domicella. I fatti sono avvenuti tra il 2017 e il 2018 e, grazie ad alcune intercettazioni ambientali e telefoniche, il cerchio si è chiuso.

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