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Martedì, 30 Aprile 2024
Cronaca

Omicidio Gioia, processo d'Appello: chiesta la conferma delle condanne dei due fidanzatini killer

Nella giornata di oggi, dinanzi Quarta Sezione della Corte Assise d’Appello, presieduta dalla Dottoressa Ginevra Abbamondi, c’è stata una nuova udienza nel processo di secondo grado per l’omicidio di Aldo Gioia

La conferma delle condanne pronunciate contro i due fidanzatini assassini è stata la richiesta del sostituto procuratore generale dinanzi ai giudici della IV Sezione della Corte di Assise di Napoli nel processo di Appello contro Giovanni Limata ed Elena Gioia, noti come i "fidanzatini" killer. Essi sono stati condannati a ventiquattro anni di reclusione il 24 maggio 2023, in conformità con la richiesta avanzata dal procuratore della Procura di Avellino, Vincenzo Russo, al termine della sua requisitoria per l'omicidio di Aldo Gioia, padre di Elena. Durante l'udienza di secondo grado, presieduta dalla dottoressa Abbamondi, è stata prima presentata la relazione del giudice che compone il collegio e successivamente è stata conclusa la requisitoria del procuratore generale Della Pietra. I difensori dei due imputati, gli avvocati Rolando Iorio e Livia Rossi, hanno discusso l'impugnazione della sentenza emessa dalla Corte di Assise di Avellino, presieduta da Gian Piero Scarlato. La discussione delle parti civili, rappresentate dall'avvocato Brigida Cesta, e delle difese, è prevista per l'11 aprile.

Come noto, la vicenda giudiziaria riguarda un grave omicidio avvenuto intorno alle 22:30 del 23 aprile 2021 nell'appartamento della famiglia Gioia, situato al civico 253 di Corso Vittorio Emanuele ad Avellino. La telefonata di Liana Ferrajolo alla sala operativa della Questura di Avellino alle 22:38, segnalando che il marito era stato accoltellato, ha dato avvio alle indagini. Aldo Gioia è stato trovato riverso nel salone di casa, con la figlia Emilia che cercava di fermare la copiosa perdita di sangue con una tovaglia. È deceduto poco dopo la mezzanotte del 24 aprile 2021 all'ospedale Moscati di Avellino. Durante il sopralluogo della polizia scientifica, è stato rinvenuto un giubbino nero e un fodero di coltello di colore nero nei locali sottoscala vicino all'ascensore. All'interno del giubbino è stata trovata una tessera sanitaria intestata a Limata Giovanni, classe 98 di Cervinara. Limata è stato trovato presso l'abitazione dei genitori a Cervinara, dove è stata recuperata l'arma del delitto. La salma di Aldo Gioia presentava 14 lesioni da arma bianca, compatibili con il coltello sequestrato. Limata, portato in Questura dagli agenti della Squadra Mobile, ha ammesso di essere coinvolto nel delitto e ha indicato il coinvolgimento di Elena Gioia nella sua pianificazione. Il processo con rito immediato è iniziato il 24 ottobre 2021 davanti alla Corte di Assise.

La sentenza del processo di primo grado 

Durante l'istruttoria di primo grado, tre temi principali sono stati al centro delle discussioni e della decisione finale: la premeditazione, contestata come aggravante dal procuratore Vincenzo Russo, e la responsabilità di Giovanni e Elena nell'omicidio. Il giudice Scarlato, nelle motivazioni della sentenza, ha evidenziato le conversazioni tra i due imputati a partire dal 17 aprile, che dimostrano la premeditazione del crimine. Inoltre, sono emersi elementi a sostegno della tesi dell'accusa da testimonianze e messaggi. La sentenza ha confermato che l'omicidio di Aldo Gioia è stato pianificato e eseguito dai due imputati in concorso. Entrambi hanno anche confessato. Il processo ha anche analizzato la natura della relazione tra Elena e Giovanni, cercando di determinare se uno dei due abbia influenzato l'altro. Entrambi erano consapevoli del delitto e hanno partecipato attivamente. Limata ha sottolineato il coinvolgimento di Elena nella sua memoria manoscritta durante l'udienza del 27 aprile 2022, accusandola di averlo manipolato. Elena, durante la sua testimonianza, ha ripercorso l'inizio della loro relazione, nata sui social network nel 2019. Limata ha affermato di aver subito anch'egli un'infanzia difficile, ma ha negato di essere un assassino, attribuendo il gesto alla manipolazione di Elena. Durante il processo, sono state sollevate questioni sulla capacità di intendere e volere degli imputati. Diversi esperti hanno testimoniato, ma la perizia psichiatrica ha confermato che entrambi erano capaci di intendere e volere al momento del delitto. Limata è stato diagnosticato con un disturbo di personalità antisociale. La concessione di attenuanti generiche, considerando le condizioni di "fragilità" degli imputati, è stata giustificata in base alle esperienze di vita di entrambi.

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