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Mercoledì, 17 Aprile 2024
Salute

Come sarà il mondo quando il Covid diventerà una malattia endemica?

Debellare il Covid 19 probabilmente è impossibile. Ma potrebbe diventare una malattia gestibile, al pari dell’influenza

Speravamo che i sacrifici degli ultimi due anni, insieme agli sforzi fatti dalla scienza per produrre in tempi record vaccini e farmaci efficaci, avrebbero eliminato Covid dalle nostre vite. Purtroppo un simile obbiettivo sembra sempre più difficile da raggiungere. Anzi: è pressoché certo, ormai, che Sars-Cov-2 è qui per restare. Questo non vuol dire che i prossimi decenni continueranno necessariamente ad essere scanditi da lockdown, green pass, tamponi e inclementi bollettini dei decessi.

Se Covid 19 diventerà una presenza fissa nelle nostre vite, una cosiddetta malattia endemica, ci sono buone chance che col tempo si trasformi in un problema gestibile: una patologia stagionale contro cui vaccinarsi solo in presenza di fattori di rischio, come è oggi l’influenza. O persino un virus pressoché innocuo, simile a un banale raffreddore. Non è detto però che la transizione si riveli veloce come vorremmo, o che la situazione sarà la stessa in ogni parte del mondo: molto dipenderà da una serie di caratteristiche del virus che scopriremo, probabilmente, solo nei prossimi mesi, e dalla velocità con cui procederanno le vaccinazioni.

Un virus pandemico

Nei primi mesi di pandemia erano in molti a sperare che Covid fosse solamente un’emergenza transitoria. È stato così, d’altronde, nel caso della Sars, una malattia causata da un coronavirus molto simile a quello che provoca Covid 19: nel 2003 infettò oltre ottomila persone, diffondendosi in 29 nazioni prima di essere arginata, e pur senza vaccini o farmaci miracolosi, in quel caso il virus venne sconfitto definitivamente con l’utilizzo di misure di salute pubblica molto meno stringenti di quelle attualmente in vigore.

Sars e Covid hanno molto in comune, ma differiscono, purtroppo, per un particolare che si rivela determinante quando si parla di eradicazione (cioè di eliminare definitivamente una malattia). Come spiega un gruppo di esperti di virologia e immunologia dell’Università del Colorado in un articolo pubblicato su The Conversation, Sars-Cov, il virus che causava la Sars, è molto meno infettivo rispetto a Sars-Cov-2 (il virus di Covid 19).

In epidemiologia, l’indice che misura la contagiosità di una malattia è conosciuto come numero di riproduzione di base, o R0, un parametro che indica il numero di persone che verranno infettate, in media, da ogni malato in assenza di misure di prevenzione o di immunità nella popolazione. Nel caso della Sars, l’R0 si aggirava attorno a due (due nuovi contagi per ogni malato), un numero tutto sommato contenuto, che si è rivelato gestibile con il ricorso tempestivo a quarantene e misure di contenimento. Con l’arrivo della variante Delta quello di Sars-Cov-2 ora è invece compreso tra 6 e 7. Troppo elevato – spiegano gli esperti – per pensare di eradicare il virus senza un vaccino sterilizzante, cioè in grado di prevenire al 100% l’infezione e la possibilità di trasmettere la malattia. E purtroppo, abbiamo ormai imparato che per quanto efficaci, i vaccini anti-Covid non sono di questo tipo.

Una malattia endemica

Sars-Cov-2 è un virus che muta velocemente, come dimostrano le varianti emerse negli scorsi mesi. E sembra in grado di eludere, almeno in certa misura, le difese immunitarie che si sviluppano in seguito a un’infezione o alla vaccinazione. Per questo motivo, la maggior parte degli esperti ritiene che la malattia sia destinata a diventare endemica: rimanere cioè una presenza costante, con epidemie stagionali, o periodi in cui si diffonde sottotraccia seguiti da focolai di trasmissione intensa. Se continuasse a provocare ricoveri e decessi al ritmo attuale, probabilmente l’unica speranza sarebbe attendere lo sviluppo di nuove terapie e nuovi vaccini più efficaci. Ma esistono buone chance che il virus, una volta endemico, si riveli molto meno pericoloso di quello che abbiamo imparato a conoscere negli ultimi anni.

Per capire quale futuro ci attende, bisognerà capire innanzitutto quanto si rivelerà persistente l’immunità conferita dai vaccini in seguito alla terza dose. E soprattutto, quanto sarà duratura la protezione che offrono nei confronti delle forme gravi. Per altri coronavirus umani, come quelli che causano il comune raffreddore, una precedente infezione non garantisce infatti un’immunità a lungo termine, ma assicura un’ottima capacità di resistere ai sintomi in caso di reinfezione.

È il motivo per cui prendiamo spesso il raffreddore, ma senza che questo ci provochi (di norma) più di qualche fastidio passeggero. Se così sarà anche nel caso di Covid, col tempo, tra guariti e vaccinati, una percentuale abbastanza elevata della popolazione adulta sarà protetta dalla malattia in forma grave. Nei giovani, lo sappiamo, raramente provoca sintomi pericolosi. E così il virus diventerà qualcosa di simile a un’influenza o al raffreddore: un pericolo stagionale contro cui vaccinare, magari, le fasce più a rischio della popolazione, ma nulla di paragonabile alla pandemia che stiamo affrontando in questo momento. Dove i tassi di vaccinazione sono elevati, potremmo trovarci in una simile situazione già nei prossimi mesi. Dove arrancano, che sia per la ritrosia della popolazione o per mancanza dei vaccini (come accade in moltissimi paesi in via di sviluppo) sarà sicuramente una strada più lenta e dolorosa.

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