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Covid, come difendersi dalle varianti: le misure di sicurezza

Ecco un vademecum Inail che dà alcune risposte su varianti, distanza, vaccini, protezioni

L’alto livello di contagiosità causato dalle varianti che circolano in Italia ha riportato sotto i riflettori il problema delle misure di sicurezza. Quali sono i comportamenti standard per difendersi dalla pandemia, a cominciare dal distanziamento e dall’indossare le mascherine. Le misure esistenti bastano o vanno “potenziate” e, in tal caso, come.

In una Faq l’Istituto superiore di sanità ha messo in evidenza che «al momento non sono emerse evidenze scientifiche della necessità di cambiare le misure, che rimangono quindi quelle già in uso, le mascherine, il distanziamento sociale e l'igiene delle mani. La possibilità di venire in contatto con una variante deve comunque indurre particolare prudenza e stretta adesione alle misure di protezione».

L'Istituto Superiore di Sanità, Ministero della Salute, AIFA e INAIL hanno stilato un rapporto con Indicazioni ad interim sulle misure di prevenzione e controllo delle infezioni da SARS-CoV-2 in tema di varianti e vaccinazione anti-COVID-19, in altre parole si tratta di una sorta di vademecum con una serie di raccomandazioni da seguire per difendersi dal virus nella situazione che stiamo attraversando.

IL RAPPORTO COMPLETO: Rapporto Inail

La circolazione delle varianti richiede una modifica delle misure di prevenzione e protezione non farmacologiche (distanziamento fisico, mascherine, igiene delle mani)?

No, non è indicato modificare le misure di prevenzione e protezione basate sul distanziamento fisico, sull’uso delle mascherine e sull’igiene delle mani; al contrario, si ritiene necessaria una applicazione estremamente attenta e rigorosa di queste misure.

Quale distanza serve fra noi e gli altri per proteggerci dalle nuove varianti?

Il documento ribadisce che quando si è protetti dalla mascherina è sufficiente la distanza minima di un metro. Ma chiarisce che in certe situazioni sarebbe opportuno portare la distanza “fino a due metri laddove possibile, specialmente in tutte le situazioni in cui venga rimossa la protezione respiratoria, come ad esempio in occasione del consumo di bevande e cibo”. Infatti, è in questi momenti di convivialità che aumenta il rischio di trasmettere l’infezione attraverso il respiro. I tecnici sottolineano che in generale le misure finora osservate (mascherina, igiene delle mani e distanza) sono efficaci anche per difendersi dal contagio dei virus mutati con le nuove varianti, se applicate con attenzione.

Le nuove varianti del virus causano forme di malattia più gravi?

Il documento fa riferimento alla variante inglese, sudafricana e brasiliana di cui esiste ormai una vasta letteratura. Secondo gli esperti, non è ancora accertato che i ceppi mutati “siano associati a un quadro clinico più grave o se colpiscano di più alcune fasce di popolazione”. È accertato invece che il virus identificato per la prima volta nel Regno Unito (la variante inglese attualmente prevalente in Italia) sia capace di diffondersi con maggiore facilità.

Sono efficaci i vaccini a disposizione e quanto sono efficaci?

Il documento ribadisce l’efficacia dei vaccini già distribuiti in Italia. Quello di Pfizer-Biontech protegge al meglio dalla malattia sintomatica a partire da circa una settimana dopo la seconda dose, ma una certa protezione subentra a 10 giorni dalla prima. Per il preparato di Moderna lo scudo degli anticorpi risulta ottimale a partire da 2 settimane dopo il richiamo. Infine AstraZeneca (che potrebbe essere riammesso già domani dall’EMA dopo la temporanea sospensione in via cautelativa) comincia a funzionare a 3 settimane dal primo inoculo e la protezione persiste fino alla dodicesima settimana, quando viene somministrata la seconda dose. In tutti e tre i vaccini la protezione non è al 100% e non è nota la durata dell’immunità che essi fanno acquisire. Non si sa per certo quanto i vaccinati possano evitare il contagio, cioè è possibile che non siano difesi dalla malattia che si presenti in forma asintomatica.

Come deve comportarsi chi si è già vaccinato?

Chi si è vaccinato deve continuare a utilizzare rigorosamente le mascherine e osservare norme di igiene e distanziamento. Questo perché al momento non ci sono prove sulla possibilità di trasmissione del virus da parte degli immunizzati che vanno ritenuti potenzialmente in grado di infettarsi e trasmettere il Sars-CoV-2 ad altri. Queste regole valgono sia sul luogo di lavoro sia nella vita sociale. I vaccinati, con 1 o 2 dosi, devono osservare tutte le misure di prevenzione (distanza, mascherina, igiene delle mani). Si rende a maggior ragione necessario in considerazione dell’attuale quadro epidemiologico, caratterizzato dalla comparsa e dalla circolazione delle nuove varianti, più diffusive rispetto al virus presente nella prima fase dell’epidemia per le quali la protezione vaccinale potrebbe essere inferiore.

Come debbono comportarsi i vaccinati che hanno contatti stretti con un positivo?

Se una persona viene in contatto stretto con un positivo va considerata a sua volta contatto stretto anche se vaccinata e devono essere adottate tutte le precauzione, compresa la quarantena e l’isolamento. Solo il personale sanitario ne è esentato fino a un’eventuale positività ai test o alla comparsa di sintomi.

Chi ha avuto il Covid ed è guarito deve vaccinarsi?

Secondo il documento la vaccinazione si è dimostrata sicura anche in persone che hanno già avuto la malattia Covid-19. Si può considerare la somministrazione di una sola dose purché la vaccinazione venga eseguita ad almeno 3 mesi dalla documentata infezione e preferibilmente entro 6 mesi. Fanno eccezione alcuni pazienti con immunodeficienza.

Quanto dura l’immunità sviluppata da chi ha già avuto il Covid?

Il documento riporta uno studio su 6.600 operatori sanitari del Regno Unito che ha valutato il rischio di reinfezione: “La durata dell’effetto protettivo dell’infezione precedente ha un periodo medio di 5 mesi”.

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