Luigi Grossi torna ad esporre, ad Avellino c'è Eugenìa
Luigi Grossi torna ad esporre ad Avellino, una città toccata dal sisma del 1980 e che, con orgoglio e volontà, ha riconvertito le sue ferite in rinnovati ambiti urbani, recuperando le antiche cortine dei palazzi imponenti che ne costituiscono la maglia urbanistica. Nella sede del Circolo della Stampa, con accesso facilitato al piano di calpestio del fastoso Palazzo della Prefettura, l’artista, mai pago di esprimere in nuove forme le sue invenzioni poietiche, lega le sue nuove creature al simbolo produttivo di quel territorio boschivo: la Castagna. Il frutto che in autunno riempie gli alberi dei castagneti diventa la sua nuova icona, diventa una turgida scultura di cm. 50x55, spaccata al centro perché abbrustolita, quindi un castagna spaccata, come pronta per essere gustata se non mutasse il suo mantello in oro, simbolo della ricchezza che da quel raccolto deriva. Tante piccole pepite, ben sedici in forma di castagna, sono pronte a essere inscatolate per posarsi in altri luoghi, diffondendo un sorriso benefico e rassicurante, intanto che l’occhio dell’osservatore gira intorno lo sguardo, distratto subito a guardare la serie ben allineata di ben dieci serigrafie colorate, tutte di eguali dimensioni di cm. 100x100.
Gli ampi spazi verticali liquidano il frutto come protagonista assoluto della scena, rivestendosi ciascuno di colori imprevisti e assolutamente metafisici, allusioni a travestimenti immaginari che allontanano l’icona dalla sua natura commestibile. È il messaggio dell’autore, la cifra stessa dell’Artista Luigi Grossi che tout court muta rapidamente la scena, riconvertendone il significato semantico verso gli sconfinati orizzonti dell’EGO, umanista senza tempo posto al centro dell’Universo del quale intende farsi interprete. Così la grande castagna fagocita il mare azzurro coprendolo con un cappuccio di giallo rosso infuocato, oppure diventa livida linea percorsa da raggi infrarossi, trasparente sull’oscuro sfondo ed ancora ancora altro, spaziando nello sconfinato mondo immaginario della fantasia filosofale del suo Faber.
Il fine? La ricerca della Origine della Bellezza, così l’opera unica che si specchia e rispecchia, ed emoziona per la semplicità iconografica che racchiude la grande verità della Vita: generare. Eugenìa è essa stessa un’opera di rara bellezza. Uno specchio circolare di diametro di cm.75, per metà in basso rivestito di foglia d’oro come una velatura che scherma la poesia dell’alba della vita, celandola, racchiude l’Idea, il mistero. Trasparenti nell’assenza sul fondo dorato, si staccano piccole forme di spermatozoi come tanti luccichii , quasi comete racchiuse nel tondo che è la forma dell’Universo, del sole e della luna come dei lontani pianeti, della terra e del ventre di donna. Una corsa per la vita, un sorgere alla luce che, sola, la darà vinta a un solo seme, un solo piccolissimo slancio vitale che vedrà sorgere un’altra alba e un’altra ancora. Il “filosofo senza Filosofia”, così Aldo Masullo ha definito Luigi Grossi, ben sapendo, ne sono certa, che la filosofia della vita, quella che genera la Bellezza di contenuto e forma, lui, Luigi, la possiede dentro la sua anima e la esperisce nelle forme che crea, donandocela.