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Economia

Fine dello stop ai licenziamenti, a rischio 600.000 lavoratori: ecco perché

Dal primo luglio 2021, nelle aziende che non hanno usufruito degli ammortizzatori sociali con causale Covid-19, potranno saltare migliaia di posti. Il ministro del Lavoro Orlando: "Più che un provvedimento generale dobbiamo valutare settore per settore"

Il decreto Sostegni varato lo scorso marzo aveva prorogato il blocco dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo e collettivi, fino al 30 giugno 2021, una data che si fa sempre più vicina e che in assenza di ulteriori proroghe o nuove misure, potrebbe tradursi in un licenziamento per migliaia di lavoratori. Gli unici che possono stare tranquilli sono i dipendenti delle aziende che hanno fatto ricorso agli ammortizzatori sociali con causale Covid 19: per queste, come previsto sempre dal decreto Sostegni, lo stop dei licenziamenti sarà valido fino al 31 ottobre 2021. Ma quanti sono i lavoratori che rischiano il posto a partire dal 1° luglio? Vediamo alcuni numeri.

Stop dei licenziamenti: quanti lavoratori rischiano il posto

Come denuncia Unimpresa, a rischio licenziamento ci sarebbere un vero e proprio esercito di lavoratori: "Senza le adeguate misure a supporto delle aziende, al termine del blocco dei licenziamenti si potrebbe creare una drammatica emorragia occupazionale che potrebbe far saltare tra i 300.000 e i 600.000 posti di lavoro. E il contratto di rioccupazione, che dovrebbe trovare spazio nel prossimo decreto ''sostegni bis'', non basta ad arginare la inevitabile e significativa perdita di occupazione". 

Circa 600mila posti che si vanno ad aggiungere ai 945.000 posti già 'bruciati' nel primo anno di pandemia da Covid portando il totale a oltre 1,5 milioni. Secondo i calcoli del Centro studi di Unimpresa, le nuove norme del decreto 'sostegni bis' garantirebbero alle imprese uno sgravio contributivo pari a 4.000 euro per ciascun lavoratore non licenziato dopo il 'blocco Covid', cifra che copre circa il 10% del costo medio che una azienda paga per ciascun dipendente, pari, in media, a 39.000 euro l'anno tra retribuzione (diretta, indiretta e differita) e contributi. Costo che sale a 273.000 euro se si prende in considerazione la ''vita'' media di un lavoratore in una azienda, pari a 7 anni.

"La speranza è che il pacchetto di misure sul lavoro previsto nel prossimo decreto ristori bis non si traduca in un ennesimo 'pacco' per le aziende. Questa è davvero l'ultima occasione per bloccare l'ennesima ed ancora una volta annunciata emorragia post blocco licenziamenti" commenta il consigliere nazionale di Unimpresa, Giovanni Assi che invoca "interventi a forte impatto sui bilanci delle aziende, chiamate, in questo periodo di grande incertezza, a decidere di mantenere i propri livelli occupazionali non licenziando ed addirittura a provare ad incrementare i propri organici assumendo nuove risorse. Con interventi importanti si potrebbero far rientrare nel mondo di lavoro tutti quei lavoratori espulsi da particolari settori merceologici che più di altri hanno risentito della pandemia".

"Chiediamo la totale decontribuzione per un periodo di 12 mesi (ovvero il tempo necessario per le nostre aziende per ripartire ed avvicinarsi ai livelli pre-covid) per chi deciderà al termine del divieto dei licenziamenti di mantenere in servizio i propri dipendenti e di premiare con una decontribuzione totale di 36 mesi tutte le nuove assunzioni senza vincolarle a condizioni pressoché impossibili (quale l'utopica condizione che un lavoratore di 35 anni non debba mai aver avuto un rapporto di lavoro a tempo indeterminato) e soprattutto che siano di immediata attuazione. Ciò perché - ricorda - ancora una volta le aziende si trovano a distanza di oltre cinque mesi in attesa di poter usufruire di agevolazioni (per la verità davvero molto poche) che sulla carta spettano e su cui si faceva affidamento, ma che ancora oggi non sono attuabili con la conseguenza di un esborso finanziario a carico delle nostre imprese".

 Assi sottolinea come "ci si trova con alcune categorie di lavoratori completamente ignorate da ogni tipo di incentivo (ad esempio gli uomini nella fascia di età 36 - 50 anni). Tutto ciò in un momento in cui bisognerebbe supportare le nostre imprese e i lavoratori con politiche attive, invece l'unica soluzione è la perenne proroga del blocco dei licenziamenti ed un brodino caldo di appena sei mesi".

Il ministro del Lavoro Orlando: "Servono soluzioni specifiche"

Nei giorni scorsi anche segretario nazionale della Cgil Maurizio Landini, aveva lanciato un appello al Governo affinché venga scongiurata una ''strage'' occupazionale:  "Il 30 giugno scade il blocco dei licenziamenti e noi chiediamo che ci sia una proroga almeno fino ad ottobre, momento delle riforme degli ammortizzatori sociali. Non abbiamo ancora avuto risposta definitiva dal governo. Pensiamo solo che in questo momento non ci sia bisogno di aprire altre fratture oltre a quelle già aperte". 

Parole a cui ha risposto il ministro del Lavoro, Andrea Orlando: "Io credo che se ne possa discutere ma credo che piuttosto che un blocco generalizzato" dei licenziamenti "sia preferibile pensare a interventi che proroghino l'intervento in cassa per situazioni specifiche. Piuttosto che su un provvedimento generale si può ragionare settore per settore, condizione aziendale per condizione aziendale, su strumenti che affrontino le situazioni dove le ferite sono più profonde. Poi come agganciare l'utilizzo della cassa all'autorizzazione al licenziamento è un tema in discussione in Parlamento e possono venire fuori anche risposte che vanno nella direzione auspicata dai sindacati".

Orlando è poi tornato a parlare delle misure per l'occupazione che dovrebbero trovare spazio nel decreto Sostegni bis, paragonate ad una 'cassetta degli attrezzi': "Il governo  sta costruendo una serie di strumenti, una sorta di cassetta degli attrezzi per dare le risposte a una situazione che non è uguale in tutti i settori e che non è uguale in tutte le aree del paese. Abbiamo bisogno gli accompagnare le ristrutturazioni attraverso il dialogo sociale, quindi contratti di solidarietà e contratti di espansione, abbiamo delle aziende che stanno cercando di far ripartire i processi di investimento e per questo abbiamo previsto la possibilità di un prolungamento della cassa in alcune situazioni specifiche, abbiamo poi bisogno di incoraggiare i dipendenti in cassa integrazione e di riportarli al lavoro".

"Ho detto dal primo momento in cui abbiamo iniziato a discutere di questa cosa - ha proseguito il ministro - piuttosto che norme generalizzate che rischiano di fare dei favori a chi non ne ha bisogno e non dare abbastanza a chi è in grave difficoltà vediamo se riusciamo a declinare meglio gli interventi facendoli corrispondere alle singole situazioni perché da un lato non tutti i settori hanno reagito nello stesso modo al Covid, dall'altro non tutte le aree del Paese sono nelle stesse condizioni quindi sarebbe sbagliato avere strumenti uguali per situazioni diverse".

Secondo Orlando la strada giusta potrebbe essere quella di trovare soluzioni ad hoc: "Ripeto che il nostro problema oggi è trovare strumenti che si adeguino alle diverse situazioni, alle pieghe che in qualche modo sono rappresentate dalla complessa situazione del mercato del lavoro. Penso che piuttosto che un provvedimento generale si possa ragionare settore per settore, condizione aziendale per condizione aziendale, su strumenti che affrontino le situazioni dove le ferite sono più profonde". 

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