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Benzina: rischio 2,5 euro al litro, chi ci guadagna di più in questa situazione

L'ultimo allarme riguarda i costi della raffinazione, in aumento vertiginoso: i margini di chi trasforma il greggio in carburante sono passati negli ultimi due anni da 5-10 dollari al barile fino agli attuali 60

La benzina costa sempre di più. Nonostante lo sconto nazionale garantito per altri 23 giorni (ma rinnovabile ulteriormente) dal provvedimento del governo Draghi, i prezzi medi dell'ultima settimana hanno superato i 2 euro, con un ulteriore crescita di 7 centesimi. Chi ci sta guadagnando tanto in questa fase? L’ultimo allarme riguarda i costi della raffinazione, in aumento vertiginoso a livello globale. E non è detto che sia finita: lo sostiene la federazione dei gestori degli impianti di carburanti, i quali avvertono che il prezzo alla pompa potrebbe sfondare il tetto dei 2,5 euro entro l’estate se non venisse rinnovato il forte sconto. La federazione denuncia che "in poco più di 70 giorni, oltre la metà del corposo taglio delle accise" su benzina e gasolio "decretato dal governo è stato letteralmente bruciato”. E, nel definire la "situazione del tutto fuori controllo", invita a "decretare il ritorno, almeno per l’emergenza, al prezzo amministrato dei carburanti, come in altri Paesi europei, Germania compresa, si sta ragionando". 

Secondo un'analisi del settimanale The Economist sul mercato della raffinazione, ripresa oggi da vari quotidiani, i margini di chi trasforma il greggio in carburante sono passati negli ultimi due anni da 5-10 dollari al barile fino agli attuali 60. Il motivo va ricercato nella minore disponibilità di prodotti raffinati: la Cina sta esportando un 7% in meno, la Russia è ostacolata dall’embargo, gli Usa hanno una capacità ridotta per problemi di ristrutturazione degli impianti. Dunque gli operatori meglio attrezzati si stanno avvantaggiando e l’attuale congiuntura ha determinato per molte aziende profitti tanto eccezionali quanto inattesi. Secondo gli analisti petroliferi, la carenza di capacità di lavorazione ha aggravato un'estrema compressione della disponibilità di prodotti come diesel, benzina e carburante per aerei, incentivando le raffinerie ad aumentare la produzione e quindi aumentare la domanda di greggio. L'aumento della domanda di greggio arriva mentre il mercato petrolifero deve affrontare altre pressioni al rialzo sulla domanda. La Cina ha allentato le restrizioni a Shanghai e l'aumento della domanda per l'inizio della stagione dei viaggi estivi sta accelerando, soprattutto negli Usa.

Va ricercata proprio nei maggiori costi della raffinazione la ragione per cui la benzina ha superato i 2 euro al litro, mentre durante la "crisi" di 14 anni fa, era il 2008, quando il prezzo medio del barile era agli stessi livelli di questi giorni, la benzina era arrivata al massimo a 1,4 euro al litro (considerando il diverso potere d’acquisto dell’euro, il prezzo di allora corrisponderebbe oggi a 1,7 euro). Una bella differenza comunque rispetto a oggi, se si pensa che senza l’intervento del governo sulle accise la benzina costerebbe ora 2,4 euro. A pesare sul prezzo finale alla pompa contribuiscono anche gli aumenti di materie prime e logistica, e il peso dei derivati, le scommesse finanziarie.

A guadagnarci poco dagli aumenti sono i benzinai. A loro vanno in media circa 3,5 centesimi al litro. Le spese di ogni tipo fra amministrazione, manutenzione, elettricità, spurgo, imposte, commissioni e via dicendo sono ovviamente alte, come per molte professioni del resto. Tutto ciò sarebbe quantificabile in un taglio medio del 77% da quei 3,5 centesimi di euro per litro.

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