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Venerdì, 26 Aprile 2024
Cronaca

Processo "Aste Ok": "Devi lasciare casa, altrimenti ammazzo te e i tuoi figli"

Nella giornata di oggi ha avuto luogo una nuova udienza relativamente all'inchiesta giudiziaria ribattezzata "Aste Ok" e che ha visto sul banco degli imputati ben 22 persone: "Ad Avellino tutti sanno che se vuoi comprare una casa all'asta devi venire da me"

Nella giornata di oggi ha avuto luogo una nuova udienza relativamente all'inchiesta giudiziaria ribattezzata "Aste Ok" e che ha visto sul banco degli imputati ben 22 persone, accusate a vario titolo, di associazione finalizzata alla turbativa delle aste fallimentari, alla tentata estorsione e all’intestazione fittizia di beni.

Tra le escussioni di oggi emerge ancora una volta l'attività intimidatoria portata avanti da Livia Forte e Armando Aprile. Nel corso di una delle testimonianze odierne, venivano confermate le dichiarazioni rese in fase d’indagine preliminare da un teste. Confermate anche le richieste economiche avanzate da Livia Forte, a seguito di una telefonata fatta da Armando Aprile, per rinunciare all’asta di un appartamento della moglie, sito a Monteforte Irpino. Successivamente a questo interessamento, figlio di un sopralluogo effettuato presso l’appartamento, il testimone si è recato alla stazione di carabinieri, lamentando l’interferenza da parte degli imputati all’interno dell’asta: “Armando Aprile mi chiamò sul numero che avevo in ufficio, dicendo che volevano parlarmi, incontrarmi da vicino, perché mi cercava la signora Livia Forte. Abbiamo fatto questo discorso telefonico di qualche minuto con la promessa che mi sarei recato, dopo qualche giorno, al ristorante della signora “It’s Ok”. Livia Forte mi chiese se fossi interessato a questo immobile. Lei mi fece capire che c’era un interesse anche da parte sua e, per astenersi dall’asta, mi disse che avrei dovuto darle 5mila euro. Per vent’anni le aste giudiziarie si sono fatte al palazzo della Procura di Avellino. È suggestivo che nessuno si sia mai reso conto di quello che avveniva”.

"Sono venuti a casa mia come rappresentanti di due società immobiliari che si occupano di gestire i vari acquirenti", è quanto dichiarato da un'altra teste. "Mi dissero che c'erano persone interessate a visionare l'immobile, rimproverandomi, non mi hai chiamata? Perché? Tutti ad Avellino sanno quello che faccio. Ad Avellino tutti sanno che se vuoi comprarti una casa all'asta devi rivolgerti solo a me. Mi disse che, ad Avellino, tutti tremano quando lei è interessata a un immobile. Mi disse che dovevo dirle i nomi delle persone interessate così, lei e i suoi soci, le avrebbero tenute lontane”.

Un'altra testimonianza, cruda e fortemente emotiva, raccontava un gravissimo episodio di violenza che ha visto protagonista Antonio Ciccone, protagonista di un altro capo d'imputazione nel processo e a cui sono stati revocati i domiciliari nel 2020: “Mi sentii dire da Antonio Ciccone e da altri due soggetti che quella non era più casa mia. Io risposi con un tono deciso, dicendo che avrei denunciato tutti. Antonio diede due forti pugni al mio compagno, rompendogli anche il naso. Spaccarono anche uno sgabello in testa al mio compagno. Io cercai di bloccarli ma fui colpita anche io. Mi disse che avrei dovuto lasciare casa mia, altrimenti avrebbe ucciso me e i miei figli. Che ci avrebbe lasciati morti a terra. Io guardavo il mio compagno, che era in una pozza di sangue. Uno di loro disse che sarebbe andato in macchina a prendere la pistola e, quando quest’ultimo si è diretto verso la macchina, siamo scappati nascondendoci dietro a un cassonetto dell’immondizia. Ero terrorizzata, non ho fatto uscire mio figlio per mesi”.

“Il mio immobile è rimasto all’asta 8 anni e io, nel limite delle mie possibilità, ho tentato di gestire le comunicazioni con la mia banca. Mia figlia, poi, ha avuto qualche problema di salute e non ho più avuto la possibilità d'interessarmi all’immobile seguendo le aste. Non avevo rapporti neanche con il curatore. Livia Forte, a un certo punto, ha manifestato la volontà di volermi aiutare a non perdere la casa, allontanando le persone che erano interessate. Io le dissi che mio figlio stava per compiere 18 anni e che avrebbe partecipato all’asta per l’immobile. Successivamente, poi, ho visto uno spiraglio di tranquillità e chiesi aiuto ai miei familiari per darmi una mano a recuperare l’immobile ma, purtroppo, le cose non andarono come speravo”. Al termine della lunga escussione della testimone che, in un altro procedimento, è imputata di rissa, lesioni e minacce, l'avvocato di Ciccone, Gerardo Santamaria, in accordo con gli avvocati Alberico Villani e Gaetano Aufiero, chiedeva e otteneva l’inammissibilità della testimonianza della donna e anche il rinvio per ascoltarla non più come teste ma, invece, come imputata in un altro procedimento

La prossima udienza, adesso, è attesa per il 24 giugno, quando saranno ascoltate altre quattro testimonianze. 

Aste Ok e il coinvolgimento del Nuovo Clan Partenio

L’indagine, convenzionalmente denominata “ASTE OK”, ha consentito di disarticolare un’organizzazione malavitosa composta da membri di spicco del c.d. “Nuovo Clan Partenio” (egemone nel capoluogo irpino, oggetto dell’operazione “PARTENIO 2.0”, condotta il 14 ottobre del 2019), nonché da imprenditori e professionisti. Dalle risultanze investigative è infatti emerso un contesto di espansione degli interessi criminali del gruppo camorristico ai redditizi settori delle aste e delle acquisizioni immobiliari, unito a un sempre forte e corrispondente interesse a influenzare la vita politica e amministrativa della città di Avellino, allo scopo di accedere alla “cabina di regia” delle scelte operate dalla Pubblica amministrazione, per esempio, per l’appunto, in materia urbanistica ed edilizia. In particolare, anche attraverso le elaborate investigazioni economico-finanziarie sviluppate per seguire i trasferimenti di immobili ceduti all’asta e gli anomali flussi di regolamento, l’indagine ha consentito di acclarare forti legami tra alcuni sodali del clan camorristico, i titolari di alcune società di intermediazione immobiliare e professionisti nel settore i quali, avvalendosi dell’intimidazione derivante dal vincolo associativo, inibivano a proprietari esecutati la partecipazione alle aste giudiziarie aventi per oggetto propri beni, in questo modo appropriandosene al fine di chiedere ai medesimi ex-proprietari una quota di denaro maggiorata qualora avessero voluto rientrarne in possesso.

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