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Giovedì, 25 Aprile 2024
Attualità Capriglia Irpina

Un Papa irpino nella storia della Chiesa Cattolica

Paolo IV, all’epoca Gian Pietro Carafa, il 23 maggio 1555 fu eletto 223esimo papa della Chiesa Cattolica

Un Papa di origine avellinese. Paolo IV, all’epoca Gian Pietro Carafa, il 23 maggio 1555 fu eletto 223esimo papa della Chiesa Cattolica. Se c’è la certezza della sua nascita in Irpinia, non vale lo stesso sul comune di origine: alcuni scritti indicato Sant’Angelo a Scala altri Capriglia Irpina.

Proveniente da una nobile famiglia napoletana, nacque il 28 giugno 1476 figlio di Giovanni Antonio Carafa e di Vittoria Camponeschi. Fu introdotto negli ambienti romani dal potente zio cardinale Oliviero Carafa (1430-1511): la prima tappa della sua carriera in Curia fu la nomina a cameriere segreto nel 1500 (sotto Alessandro VI), cui seguì nel 1503 (sotto Giulio II) la nomina a protonotario apostolico.
Il 30 luglio 1505 fu nominato vescovo di Chieti: risiedette stabilmente in quella diocesi dal 1507 al 1513, dedicando molta cura all’attività di riforma.

E’ ricordato perché il suo papato fu tutto all’insegna della lotta contro eretici e infedeli – non a caso uno dei primi atti di Paolo IV fu l’emanazione della bolla antiebraica Cum nimis absurdum (14 luglio 1555) –, categoria che, nella visione di papa Carafa arrivò a comprendere anche sovrani come Carlo V e Filippo II. Paolo IV concepì infatti la sua guerra contro gli Spagnoli come una “crociata di scudi cristiani” contro un “imperatore eretico” e suo figlio che dimostrava di camminare nella strada del padre, come si evince in modo molto netto dalle sue conversazioni con l’ambasciatore veneziano Bernardo Nagavero col quale papa Carafa sviluppò un particolare rapporto di confidenza e simpatia. Oltre ai rancori personali, Paolo IV rimproverava a Carlo V di essere stato troppo tollerante nei confronti dei protestanti tedeschi, dimostrando di aver mal digerito sia l’Interim (1548) sia la successiva pace di Augusta (1555), e in Spagna di aver favorito l’eresia “spirituale”, da cui proveniva Juan de Valdes che aveva introdotto le nuove istanze religiose in Italia attraverso il suo circolo napoletano. La guerra, iniziata nel settembre 1556 dopo un anno di tensioni seguite all’esproprio dei possedimenti pontifici dei Colonna, protetti dagli imperiali, ebbe un esito catastrofico, nonostante l’alleanza francese: le truppe del duca d’Alba, viceré di Napoli, avanzarono sino alle porte di Roma ed i Francesi erano costretti a ritirare il loro appoggio militare al pontefice in seguito alla clamorosa disfatta subita nella Fiandre, a San Quintino (10 agosto 1557). La pace di Cave del settembre 1557 sancì la fine delle ostilità. Da allora in poi l’atteggiamento di Paolo IV nei confronti di Filippo II cambiò radicalmente, e non solo per ragioni di opportunità politica: nei brevi inviati al nuovo re di Spagna a partire dalla fine del 1557 non mancano attestazioni di stima per il giovane sovrano, precedentemente tanto vituperato, motivate soprattutto dal suo pieno appoggio all’Inquisizione spagnola guidata dall’intransigente arcivescovo di Siviglia Fernando de Valdes, che avviava in quel frangente la sua poderosa offensiva orientata a stroncare il fronte spagnolo degli “spirituali”, raccolto attorno a  Bartolome Carranza, arcivescovo di Toledo dal 1557.

Mentre progettava e quindi metteva in atto l’offensiva politico-militare contro Carlo V e Filippo II, Paolo IV dava naturalmente nuovo impulso alle inchieste dell’Inquisizione: gettava così il Morone nelle prigioni di Castel Sant’Angelo (l’arresto avvenne il 31 maggio 1557), sottoponendolo ad un estenuante processo inquisitoriale (alle prevedibili dure conseguenze del quale il Morone scampò solo grazie alla morte di Paolo IV nell’agosto 1559, venendo riabilitato dal successore Pio IV); revocava la legazione inglese al cardinal Pole, richiamandolo a Roma col fine evidente di metterlo pubblicamente sotto accusa (ma il cardinale inglese, protetto dalla regina Maria Tudor e da Filippo II, restò in patria, dove morì il 17 novembre 1558); processava in contumacia il fiorentino Pietro Carnesecchi, già protonotario di Clemente VII, protetto dal duca di Firenze Cosimo de Medici e Vittorio Soranzo riaprendo il processo contro di lui conclusosi in modo indolore sotto Giulio III: stavolta invece il processo si concluse con una durissima condanna il 20 aprile 1558 (ma il Soranzo, gravemente malato e protetto dal suo governo, morì in patria il 15 maggio di quello stesso anno). Nel complesso, con Paolo IV il Sant’Uffizio ampliò a dismisura la sua sfera d’azione e le sue competenze: la congregazione arrivò a contare ben quindici membri (all’inizio del pontificato i cardinali inquisitori erano solo quattro), allargò le sue competenze a reati come la bestemmia, l’omosessualità e persino la simonia, essendo d’altronde la lotta contro quest’ultima dichiaratamente al centro della sua attività di riforma della Chiesa, e si affermò di fatto come la più importante congregazione cardinalizia romana. Cura del Sant’Uffizio fu anche la stesura del primo Indice romano dei libri proibiti (1559). Paolo IV avviò dunque quel processo di sviluppo del Sant’Uffizio che giunse a pieno compimento nel 1588, allorché Sisto V ratificò in modo ufficiale la posizione di preminenza di tale congregazione su tutte le altre congregazioni romane.

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