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Mons. Arturo Aiello a Piano di Sorrento per la Festa di Ognissanti

"I Santi sono molto di più di quelli che la Chiesa indica come tali"

Riportiamo l'omelia di Mons. Arturo Aiello, vescovo di Avellino, celebrata in occasione della solennità di Ognissanti nella Basilica di San Michele Arcangelo.

"La moltitudine dei Santi, che oggi la Chiesa intravede e che noi nella Chiesa intravediamo con gli occhi della fede, è composta da tantissime persone che non sono solo l’addizione di tutti i Santi del calendario o del martirologio: i Santi sono molto di più di quelli che la Chiesa indica come tali. Ci sono dei Santi che sono in vetrina (permettetemi questa espressione molto popolare ma efficace) e poi c’è la stragrande maggioranza dei Santi. Se avete un negozio in vetrina non ci mettete tutto quello che avete nel negozio, ma un capo, magari quello più bello, quello che può attirare l’attenzione dei passanti. I Santi del calendario sono i Santi in vetrina, quelli che la Chiesa riconosce ufficialmente tali e che servono da richiamo: sono come degli esempi, dei campioni, delle persone che si sono distinte particolarmente nella fede, nella speranza e nella carità. Ma non sono tutti i Santi (e questo ci consola): sono i Santi in vetrina.

Io spero che nessuno di voi coltivi il sogno di diventare, una volta defunto, un santo o una santa in vetrina. Se lo desiderate, è anche un buon desiderio, ma il vostro Vescovo, per esempio, non ha di questi desideri, però ha il desiderio d’essere santo, desiderio che dovete avere anche voi, ciascuno per sé. Forse non sarò un santo in vetrina, ma voglio essere un santo. E allora la festa di tutti i Santi è lo sguardo su questa moltitudine immensa che nessuno può contare, di ogni razza, di ogni nazionalità, che rappresenta il popolo dei salvati e in questa schiera ci sono anche tante persone che noi abbiamo conosciuto. Nella festa di tutti i Santi noi veneriamo tanti nostri genitori, sacerdoti, maestri, amici, parenti che abbiamo ammirato per un aspetto della loro vita, che ci sono stati di esempio, che ci hanno indirizzati al bene: sono santi anch’essi.

Ma c’è di più, perché in questa schiera dobbiamo esserci già adesso anche noi. Certamente i nostri defunti sono già al sicuro, noi siamo ancora pellegrini. Attenti che veniamo al cimitero non per dire: “Poveri voi”, ma dobbiamo dire: “Beati voi”. Perché si deve dire “Beati voi”? Perché i nostri defunti sono ormai fuori d’ogni pericolo, fuori d’ogni tentazione, fuori di ogni possibilità di sbagliare strada: sono in Dio, sono contenti, non hanno bisogno di nulla, neanche dei nostri fiori, che ovviamente sono un gesto di affetto, ma i nostri defunti nella santità hanno tutto quello che hanno desiderato. Voi starete pensando: ma non gli manchiamo nemmeno noi? No. E non per egoismo o perché siano diventati insensibili, ma perché per loro noi siamo già insieme a loro. Noi invece avvertiamo i defunti lontani, “nell’aldilà” diciamo. E certamente i defunti non sono qui. Qui ci sono i resti dei loro corpi mortali: i defunti sono in Cielo. Mentre noi avvertiamo questa distanza tra noi e loro, essi non l’avvertono. Per loro noi siamo vicinissimi, ecco perché non hanno alcuna nostalgia; i Santi non hanno nostalgia della terra perché la terra è in Dio; i Santi non hanno nostalgia degli amici e dei parenti che hanno lasciato perché li hanno ritrovati in Dio. Questa assenza di nostalgia e quindi questa felicità piena sarà anche nostra, un giorno.

Ovviamente se siamo venuti a dire: “Beati voi”, vogliamo anche affrettarci verso la patria che è nei cieli. “Affrettarci” significa comprendere come abbiamo poco tempo a disposizione per diventare migliori, poco tempo per vivere, nella verità, la figliolanza con Dio. Ma tu ti comporti da figlio di Dio, da figlia di Dio? Io vivo da figlio di Dio? E allora questo tempo – non è importante se sia lungo o sia breve – che ci separa dal Cielo, che ci separa dalla felicità, dev’essere un tempo impiegato per vivere da figli. E Gesù ci indica anche una strada maestra per non perderci, che è la strada delle Beatitudini. Gesù dicendo “Beati i poveri, beati gli afflitti…” parla innanzi tutto di sé: è Lui il povero, è Lui l’afflitto, è Lui il perseguitato per causa della giustizia. Dietro Gesù anche noi siamo poveri, afflitti, perseguitati, avversati. Bobbiamo – seguendo questa linea – diventare un po’ più simili a Gesù, perché i Santi sono coloro che somigliano al loro Maestro. Due persone che vivono insieme – quelli fra voi che sono sposati, che stanno insieme da tempo, o dei figli che stanno a lungo con dei genitori – finiscono con l’assomigliarsi. È impossibile stare insieme senza assumere un tratto dell’altro. Sono tanti anni, cari fratelli e sorelle, che noi stiamo con Gesù: gli somigliamo un po’? Siamo diventati un po’ come Lui? E questo avviene se ci confrontiamo con la Parola, se andiamo a Messa la domenica, se ci confessiamo – perché i peccati li commettiamo tutti – se utilizziamo la via dei Sacramenti, se stiamo un po’ di tempo con il Maestro. Se tu stai con Lui, diventerai un po’ come Lui, e quindi diventerai santo, perché il Santo per eccellenza è Gesù e i Santi non fanno altro che ricevere la santità da Gesù, accoglierla, non disperderla, e la vedono fruttificare e fiorire nella loro vita.

Allora quando andate a venerare le reliquie dei corpi dei corpi dei vostri defunti (lì non ci sono i defunti!) non abbiate sentimenti di compassione nei loro confronti, perché i nostri defunti ridono o sorridono della nostra compassione. Non dite: “Poveri voi”, dite invece: “Beati voi”. E dite: “Povero me, poveri noi che ancora corriamo il rischio di perderci”.

Il Signore ci dia la gioia di ritrovarci tutti a Casa e la Casa è il cuore di Dio grande, dove c’è un posto che mi aspetta, dove c’è una sedia col mio nome, col tuo nome (non una lapide col nome!), una sedia intorno a un tavolo che è il tavolo della convivialità e della felicità. Signore, fa’ in modo che quel posto io lo occupi, fa’ che io non mi perda. Chiediamo l’intercessione di tutti i Santi e di tutti i nostri fratelli e sorelle defunti, perché quel posto domani possa essere occupato da noi»

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