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Il dilagante fenomeno delle baby gang ad Avellino, il prof Pignataro: "Crescita preoccupante in tutta Italia"

Il prof. Salvatore Pignataro si è espresso relativamente al grave fenomeno che ha investito anche l'Irpinia

È in crescita il preoccupante fenomeno delle baby gangs in tutte le città italiane.

Su questo tema interviene il prof. Salvatore Pignataro Criminologo Investigativo professionista docente di Criminologia investigativa presso l’Università degli Studi Giustino Fortunato e cultore della materia in procedura penale presso l’Università degli Studi Luigi Vanvitelli di Santa Maria Capua Vetere.

“Partiamo con dei dati, secondo l’Osservatorio nazionale sull’adolescenza, istituito presso il Ministero della Famiglia il 6,5% dei minori fa parte di una banda, il 16% ha commesso atti vandalici, 3 ragazzi su 10 hanno partecipato ad una rissa.

Lo segnala l’ultimo report del Servizio analisi criminale della Direzione centrale della Polizia criminale sui minori: aumenta del 10% la quantità di minori denunciati o arrestati, così come sale del 20% il numero dei reati. Dai dati demografici emerge che l’appartenente ad una baby gang ha tra i 7 e i 16 anni, è  quasi sempre maschio, ma il fenomeno sta aumentando anche tra le femmine e prende di mira soggetti più deboli (coetanei, anziani, disabili).  Oggi “con il supporto della tecnologia, la condivisione aumenta la portata e alimenta maggiormente gli animi. Si cerca intenzionalmente la popolarità e questo rappresenta un’ulteriore sfida, una condizione che fa sentire i ragazzi ancora più potenti. Tutte queste aggressioni vengono, infatti, riprese attraverso gli smartphone e condivise nelle varie chat e i profili social. Ormai anche le gang si sono digitalizzate e, spesso, condividono le loro ‘gesta’ sui vari social media creando gruppi appositi che fungono da rinforzo e condivisione di condotte delinquenziali.” Ma è anche importante intercettare le cause che portano a queste escalation criminali dei ragazzi. “Dall’intenzione di emulare i crimini commessi dagli adulti al desiderio di andare contro le regole sociali, fino al semplice piacere provato nel prendere in giro chi è ‘diverso’, nel lessico, nel vestiario o nelle fattezze fisiche: queste le principali e più comuni motivazioni che spingono i giovani, talvolta addirittura bambini, ad adottare una condotta antisociale. Difficoltà ambientali, economiche, culturali e sociali sono alla base di ogni comportamento deviante; il fenomeno delle baby gang nasce da un contesto di vita problematico nel quale questi giovani crescono. Gli studiosi hanno individuato i fattori di rischio in diverse aree: c’è chi sostiene che questo tipo di violenze siano causate da modelli sbagliati ai quali i ragazzi fanno riferimento. È recente il fenomeno di serie tv criminali dai quali i ragazzi prendono come modelli il “cattivo” della situazione che, nella maggior parte dei casi, riesce a cavarsela, quando invece il messaggio dovrebbe essere differente e quindi dove il bene dovrebbe sconfiggere il male. In alcuni casi invece, le condotte anti-sociali derivano da frustrazioni che causano comportamenti aggressivi su persone definite più “deboli”. Tra le altre motivazioni fanno parte anche situazioni famigliari problematiche (anche una famiglia troppo protettiva e accondiscendente può far nascere nel ragazzo il forte desiderio di ribellarsi). È piuttosto facile pensare che la microcriminalità trovi terreno fertile nei contesti degradati, in cui sussistono condizioni critiche, sia a livello economico che sociale e familiare, in realtà una percentuale piuttosto alta di fenomeni di criminalità minorile afferisce a quei contesti in cui l’estrazione sociale risulta essere medio-alta. Si tratta spesso di adolescenti incensurati, con alle spalle famiglie benestanti, che vivono annoiati nel benessere e che scelgono il gruppo per innalzare ulteriormente il proprio status.  I ragazzi, benestanti o meno che siano, sono spinti da un forte desiderio di anticonformismo, sulla base del quale tendono ad andare contro tutto ciò che impone delle regole da seguire.
La criticità in tal caso è insita in un’educazione carente, povera di regole da rispettare, o addirittura in una totale assenza di orientamento socio-educativo da parte dei genitori.

In criminologia  analizzando questo fenomeno, possiamo identificare tre insiemi di sottoculture giovanili: 1) Le sottoculture criminali sono organizzate per provvedere al raggiungimento di fini di tipo materiali e quindi rapine. 2) Le sottoculture conflittuali sono di protesta e di ribellione. 3) Le sottoculture astensioniste commettono reati per procurarsi sostanze stupefacenti. Ci troviamo di fronte a ragazzi che hanno perso il contatto con le regole sociali e con la regolazione emotiva. Il fenomeno delle gang giovanili si spiega solo tenendo conto di queste problematiche – dinamiche estremamente mutevoli – già presenti quando ci si interfaccia con il mondo degli adolescenti. A fronte delle definizioni date finora, è sempre bene ricordare che famiglia, scuola e altre agenzie educative devono essere coinvolte nella prevenzione e nel contrasto del fenomeno al fine di anticipare determinate dinamiche e fungere da strumento esemplificativo per le future generazioni. E’ necessario intervenire allo scopo di incrementare, in tutti i ragazzi, l’empatia, ovvero la capacità di mettersi nei panni dell’altro, in questo caso della vittima, per evitare di compromettere una fase di vita e il futuro di personalità più fragili e sensibili. Gli stessi adolescenti che hanno determinati atteggiamenti e devianze, a volte, per mettere in atto tali condotte, condividono un vissuto di sofferenze e mancanze tali che avrebbero bisogno di un personale e preciso percorso di supporto e aiuto psicologico.

Per contrastare efficacemente il fenomeno, sarà necessario prevedere un percorso comune che metta in rete gli Enti del Terzo Settore, gli organismi della giustizia minorile e i servizi sociali territoriali, le famiglie, la scuola e gli enti di formazione. Gli strumenti legislativi di intervento ci sono, ma il rapporto del Servizio Analisi Criminale, più che nella repressione, incoraggia ad investire nella prevenzione, nella “crescente promozione, da parte di tutti gli stakeholder, pubblici e privati, di iniziative didattiche, sociali, culturali, sportive, religiose, nel complesso di educazione alla legalità che coinvolgano gli uomini del futuro, i minori, rendendoli, il più possibile, partecipi del loro futuro”. E’ ormai necessario favorire  forme di prevenzione  in tutti gli ambiti educativi (scuola, famiglia, oratori..)  cercando di comprendere i segnali di sofferenza e disagio manifestato dai ragazzi, promuovendo relazioni e dando risposte adeguate ai bisogniE’ un fenomeno che ha varie facce su cui tutti dobbiamo fare una riflessione. In primis la famiglia, come punto di riferimento, deve ricostruire figure genitoriali credibili e offrire il proprio sostegno, impegnandosi a costruire un rapporto significativo con i figli; mentre la scuola, dove i ragazzi cominciano a costruire le prime relazioni sociali, a conoscere l’altro, a sperimentare i primi successi e insuccessi, deve valorizzare la centralità della persona e favorire la sua crescita per far sentire i ragazzi parte integrante di un contesto che li accoglie e li comprende.”

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