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Cronaca

La camorra torna a sparare in Irpinia, non dimentichiamo gli orrori del passato

L’atto intimidatorio contro una ditta di calcestruzzo ha riportato alla mente momenti dimenticati, soprattutto dai più giovani

I nostri lettori sanno che Avellino Today sta portando avanti un progetto informativo sulla presenza della camorra nel territorio irpino. Pochi giorni fa, c’è stato un grave atto intimidatorio nei confronti di una ditta di calcestruzzo. Un gesto che ha riportato questo territorio ai tempi bui della terribile faida tra il clan Graziano e il clan Cava.

Nonostante la ferocia che ha contraddistinto ciò che è accaduto in Irpinia, molti, soprattutto tra i giovanissimi, non ne sono a conoscenza. Avellino Today vuole sensibilizzare i lettori verso il problema della criminalità organizzata e, per farlo, non si può e non si deve dimenticare la storia che ha riempito per anni le pagine di cronaca dei giornali. Tantissimi morti e altrettanti arresti: la storia di questa guerra infinita tra i due clan, senza ombra di dubbio, ha due momenti chiave: due ferocissime stragi.

La prima avvenne il 21 novembre 1991 quando, all’interno di un garage di Scisciano, un commando del clan Cava freddò a colpi di AK47 Eugenio Graziano, sindaco di Quindici, e indiscusso erede dell’omonimo clan. Con lui furono uccisi anche il cugino Vincenzo e Gaetano Santaniello. Un affronto terribile che venne “pareggiato” undici anni dopo, il 26 maggio del 2002, a Lauro, proprio nel giorno delle elezioni amministrative, quando i killer del clan Graziano uccidono Clarissa Cava, la figlia 16enne del boss, la sorella Michelina e la cognata, Maria Scibelli. Una strage che, successivamente, fu ribattezzata la “strage delle donne”.

Eppure, in questo caso, il sangue segnerà una svolta; perché il commando dei Graziano agirà senza alcuna accortezza e senza proteggersi da eventuali intercettazioni. La polizia riuscirà ad ascoltare i festeggiamenti scaturiti dal massacro e finiranno in manette Luigi Salvatore Graziano, la moglie Chiara Manzi e il figlio Antonio; rispettivamente: genitori e fratello di Eugenio Graziano, ucciso undici anni prima.

Qualcosa sta cambiando, è evidente. La ferocia è troppa. Il numero dei morti continua ad aumentare e anche tra le fila del clan Graziano comincia a esserci qualche crepa. Il primo a dissociarsi da quella carneficina è Arturo Graziano, un esponente di primo piano. Poco dopo arriverà anche il primo collaboratore di giustizia: è Felice Graziano.

Non sarà questo, però, a mettere fine alla faida. La svolta arriverà quando Cava si trova in carcere. Fu arrestato nel febbraio del 2002, su segnalazione della squadra mobile della questura di Avellino, all'aeroporto di Nizza, mentre stava per imbarcarsi per New York. L’arresto, però, non sembra fermarlo e, in cella, riesce a farsi consegnare un cellulare. I poliziotti lo scoprono ma non lo fermano, anzi, fanno finta di nulla per intercettare le sue comunicazioni e i suoi ordini e mettere fine alla faida. È proprio nel buio della sua cella il boss riceve la comunicazione del massacro perpetrato nei confronti dei suoi familiari e che ha portato alla morte della figlia, della sorella e della cognata e che ha lasciato in condizioni disperate l’altra figlia, Felicia, che non si alzerà più dalla sedia a rotelle. Cava non dice una parola. In molti, al momento, pensarono che il boss avrebbe ancora una volta messo mano alle armi per vendicarsi ma le cose andarono diversamente. Forse, quelle morti, fecero comprendere al boss Cava cosa stava accadendo nella sua vita e a cosa l’aveva portato la strada della criminalità. Cosa gli aveva tolto, a lui e ai suoi cari. La faida tra i due clan terminò proprio quel giorno. Persero tutti e tutti persero gli affetti più cari. Anni di morte e spari che non avevano portato a nulla.

Adesso, dopo quasi 16 anni da quella che fu ribattezzata: “la strage delle donne”, dopo la morte di Biagio Cava, in Irpinia si è tornato a sparare. Starà agli inquirenti capire cosa si nasconde dietro l’ultimo atto intimidatorio. A noi, invece, non rimane da fare altro che ricordare la storia di ciò che è accaduto. Perché soltanto ricordando gli orrori del passato potremo difenderci dalla volontà di ripeterne nel futuro.

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