I campi di grano, il vino e la fiasca: Bisaccia e la storia di una civiltà contadina che resiste
La fiasca è una piccola botte in legno della capacità di due litri che per la tradizione contadina era di uso comune, compagna inseparabile nei lavori di mietitura e trebbiatura
Inno BISACCESE
LA PATRONA MIA
Ohi quant’è bella la patrona mia
Ohi quant’è bella la patrona mia
quanno se mette
quanno se mette
quanno se mette la unnella nova
me pare na
me pare na
me pare na paloma quann’abbola
Po se ne vaie attuarne a la massaria
Po se ne vaie attuarne a la massaria
cuta cutella
cuta cutella
cuta cutella mia vien’a mangiààà (2 volte)
Ohi mamma mamma conta se gaddrine
Ohi mamma mamma conta se gaddrine
e qua ce manca
e qua ce manca
e qua ce manca lu meglio capone
lu caporale
lu caporale
lu capurale re lu battaglione
Ru grane nunn’è mbute e manc’allasche
Ru grane nunn’è mbute e manc’allasche
patrona va
patrona va
patrona va la piglia la fiasca (2 volte)
Lu carre nu camina cu na rota
Lu carre nu camina cu na rota
patrona va
patrona va
patrona va la piglia n’ata ota (2 volte)
Bisaccia il granaio d'Irpinia, uno di quei comuni che meglio conserva l'attaccamento alle sue origini. Quando tutto sembra rincorrere una piatta omologazione in nome di un presunto benessere sociale, per fortuna il sapore rurale di una volta resiste nei gesti e negli usi comuni senza cedere a vane tentazioni.
Nell'Irpinia orientale lo scenario della cerealicoltura domina ancora incontrastato, in estate gli estesi campi dorati ti mostrano in tutta la sua autentica bellezza la Bisaccia della resilienza, paesaggi e saperi contadini di una cultura millenaria. E infatti basta fermarsi con gli anziani del posto per trarre giovamento dal patrimonio orale, di storie, proverbi e canzonette di quelle terre aspre, ma feconde.
Per non dimenticare, i grandi protagonisti dell'Irpinia del secolo scorso, è bello tornare alle radici attraverso la memoria storica di chi ti può spiegare la vita quotidiana e i rapporti sociali di una civiltà che è inscritta nel nostro DNA. Un mondo fatto di fatica e tanto lavoro, ma anche di divertimento, amicizia e convivialità.
A riportarci indietro nel tempo è l'ex sindaco di Bisaccia, Pinuccio Mariniello che nel corso di una festa al Castello Ducale ci racconta di uno dei momenti più attesi e agognati dai lavoratori nel periodo della mietitura del grano: il pasto. Pinuccio con l'arte della narrazione ci conduce nell'antico universo dei falciatori bisaccesi quando, dopo ore e ore di intenso lavoro sotto il sole cocente, era piacevole consumare distesi sui campi l'agreste banchetto e concedersi, magari, anche a qualche approccio amoroso. “Parliamo di tempi assai remoti – dice - ancor prima dell'introduzione delle macchine quando la trebbiatura era un vero e proprio rito, con i suoi tempi, le sue modalità e i suoi canti”.
Oggi con la rivuluzione meccanica le trebbiatrici riescono a fare in poche ore quello che l'uomo realizzava dopo settimane intere. Nei secoli scorsi il contadino passava intense giornate a mietere il grano, dall'alba al tramonto, ognuno con il proprio compito si falciava senza tregua. C'erano poi delle brevi soste in cui donne e uomini mangiavano e bevevano a garganella, tutti insieme appassionatamente intonando canti e ridendo a crepapelle.
“Il momento di ristoro equivaleva ad un momento di festa, a base di generi alimentari sia pur poveri, ma di grande conforto: acqua, companatico, ma soprattutto il vino – spiega Pinuccio - Era il più umano ed economico modo di stare assieme, ci si divertiva con poco e il vino la faceva da padrone”.
Seduti sotto la frescura di qualche albero i contadini consumavano in un clima festoso il misero pasto e si lasciavano andare in grasse risate e racconti un po' spinti. A scandire il ritmo di questi fugaci attimi di relax c'era la fiasca una piccola botte in legno che Pinuccio ci mostra con orgoglio.
“La fiasca per la tradizione contadina era di uso comune, compagna inseparabile, nei lavori di mietitura e trebbiatura. Non è un caso che nel suo ritornello l'inno Bisaccesse recita: “patrona va...patrona va..patrona va la piglia n’ata ota” - chiosa l'ex primo cittadino”. Quella che doveva prendere la padrona era la fiasca di vino, una botticella di circa due litri in cui il vino si manteneva fresco nonostante la calura estiva. Pinuccio Mariniello mentre parla guarda la sua fiasca di vino, una meravigliosa reliquia ereditata dal nonno che lui custodisce gelosamente, senza rinunciare a condividerlo con gli amici nelle occasioni speciali.
“Non è un'opera d'arte, ma resiste al passare degli anni ed esprime la più autentica e genuina tradizione delle nostre zone – chiosa Mariniello – Il lavoro nei campi iniziava alle prime luci dell'alba, ore ed ore piegati sotto i raggi del sole che picchiavano sulla schiena. Piacevole ed atteso era il momento della merenda quando finalmente si rifocillavano le forze, si mangiava, si beveva a garganella e si cantava l'inno bisaccese”.
L'inno bisaccese ben riflette il clima che si respirava in quei momenti di pausa. In una gaia atmosfera tutti ad approvigionarsi dalla fiasca mediante un cannello di canna, senza appoggiare le labbra vicino. “Si beveva così anche per ragioni igieniche -tiene a sottolineare Mariniello”. Una pratica che, a dire il vero, oggi ci sembra assai difficile, non è semplice bere mediante la canna posta al centro della botte senza sporcarsi e farsi cadere addosso tutto il vino. Ma al tempo poco contava essere puliti e profumati, malgrado la stanchezza, c'era nell'aria l'allegria, nei volti e nei sorrisi non si palesavano i segni della fatica, ma la vita contadina con i suoi momenti di gioia conviviale.
Il vino sempre protagonista, il vino che scioglie gli affanni di lavoratori onesti e instancabili, brava gente la cui unica evasione era un sorso di vino per abbandonarsi al piacere dell'ebbrezza prima di ritornare sul campo infuocato.